L'abisso della guerra e l'incognita sui profughi

di Antonio Troise

Nessuna tregua. Neanche la Pasqua ortodossa ha fermato l'orrendo rumore delle armi. Anzi, l'escalation è continuata con il durissimo botta e risposta fra la Johnson e Putin. Da una parte Londra, che giudica lecito utilizzare le armi inglesi sul suolo russo. Dall'altra Mosca, che si dice pronta a rappresaglie. Il rischio di un incidente che possa espandere il conflitto resta alto. Così come è ormai sicuro che la guerra in Ucraina potrebbe durare ancora mesi prima che prevalga il buon senso e che dai campi di battaglia si passi ai tavoli diplomatici. Nel frattempo si ingrossa giorno dopo giorno la lunga fila dei rifugiati, composta per lo più da donne e bambini. Sono già 5 milioni in fuga galle città bombardate e dagli orrori della guerra. Ma, secondo l'Ocse, il numero potrebbe lievitare presto fino a 8,3 milioni. E c'è anche chi azzarda un esodo complessivo di circa 10 milioni di cittadini. Era dalla seconda guerra mondiale che l'Europa non viveva un'emergenza di queste dimensioni. In Italia è già scattato l'allarme. I Comuni chiedono interventi concreti per garantire non solo la prima accoglienza ma anche una permanenza che non si preannuncia né breve né semplice. Ma sarebbe illusorio pensare di poter affrontare una questione così rilevante a livello di singolo Paese. È vero che per anni siamo rimasti praticamente soli a fronteggiare le ondate dei migranti che arrivavano dal Mediterraneo. Fino a poche settimane fa sembrava impossibile scalfire le regole del trattato di Dublino, secondo cui erano i governi che avevano frontiere esterne dell'Ue a farsi carico dei profughi. Ora, però, per uno dei tornanti della storia, l'emergenza Ucraina ha affondato anche la retorica dei Paesi sovranisti del Visegrad, i più ostili a rivedere i trattati di Dublino ed oggi in prima fila nell'accoglienza dei rifugiati. C'è voluta, insomma, la guerra in Ucraina per far compiere a tutta l'Europa un passo importante verso la solidarietà e l'apertura delle frontiere. In pochissimi giorni è stato raggiunto l'accordo per garantire lo status di rifugiato, la mobilità e anche un sostegno economico alle persone in fuga dagli orrori del conflitto. Ora però è necessario che l'Ue dimostri di avere anche un'anima per dare una risposta di lunga durata all'emergenza di tutti i rifugiati, dimostrando sul campo che la solidarietà non è solo un incidente della storia, dettato dalla guerra, ma qualcosa che recuperi lo spirito originario dell'Europa, per troppi anni messo a tacere dagli egoismi di parte e dalle sirene sovraniste. È arrivato il momento che quello spirito faccia sentire la sua voce.

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