L’editoriale

L’autonomia e i servizi da garantire

di Antonio Troise

Non ha torto il costituzionalista Sabino Cassese quando dice che la cosiddetta «autonomia differenziata» può essere una grande opportunità per tutto il Paese, Sud compreso. Il problema, però, è tutto nell’attuazione della riforma, nella sua realizzazione. E, soprattutto, sul grado di condivisione delle nuove regole che dovrebbero garantire un sistema di gestione della cosa pubblica più vicino agli interessi dei cittadini-contribuenti. Una rivoluzione. Ma qui il discorso diventa più complesso perchè si incrocia con il principio, fissato nella nostra Carta Costituzionale, di garantire dei livelli minimi di servizi e prestazioni essenziali uguali in tutto il territorio, al di là della residenza dei singoli. C’è poco da fare: la chiave della riforma, insomma, resta quella della definizione dei cosiddetti «Lep», i Livelli essenziali delle prestazioni, che dovrebbero essere definiti proprio dalla Commissione presieduta da Cassese. Fin qui tutto bene. Solo che, secondo i primi calcoli, un’eventuale estensione delle prestazioni assicurate dalle regioni più efficienti e più ricche al resto del Paese costerebbe molto al bilancio pubblico, circa 100 miliardi di euro. Una montagna di che il bilancio pubblico oggi non può sopportare. Mentre, se si fissassero criteri «al ribasso», con un’asticella delle prestazioni più orientata sul valore minimo delle prestazioni che su quello più alto, si finirebbe per alimentare un nuovo divario all’interno del Paese, che aggraverebbe quello storico fra Nord e Sud. Basta prendere, ad esempio, quello che avviene nella sanità dove, di fatto, già esiste il criterio delle prestazioni standard. Il meccanismo attualmente in vigore non ha affatto attenuato le differenze fra i diversi sistemi regionali e non ha fermato quella corsa agli ospedali del Nord da parte dei pazienti delle altre regioni che rappresenta uno dei problemi atavici del nostro Paese. È vero che, una volta stabiliti i Lep, toccherà alle singole Regioni decidere se esercitare o meno l’autonomia «differenziata» su tutte materie che possono essere devolute, con il corollario, per niente banale, di sviluppare una seria competizione fra i Governatori sulla capacità di spendere e gestire le risorse pubbliche assegnate. Ma quello che più conta è che una riforma così ambiziosa non può essere trasformata in una bandierina politica, da sistemare solo a fini elettorali o per raccogliere voti. E questo sia da parte del centrodestra, con la Lega pronta alle barricate, sia da parte dell’opposizione, con il Pd che ha brandito l’arma del referendum dimenticando che, a parti invertite, quando guidava la maggioranza, ha aperto le porte del federalismo con la riforma del Titolo V della Costituzione, approvata a maggioranza. L’autonomia differenziata deve diventare, invece, uno dei motori della modernizzazione del Paese e non trasformarsi nell’ennesima riforma incompiuta e dimezzata dalle convenienze politiche o elettorali dei partiti. Altrimenti a perdere non sarà solo questa o quella Regione, ma l’intero Paese.

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