L’editoriale

L’ideologia e i limiti di velocità

di Maurizio Tira

MAURIZIO TIRA Al crepuscolo del secolo scorso, segnato dalle grandi e spesso tragiche costruzioni ideali e visioni politiche sul futuro dell’umanità, Giorgio Gaber, acuto e disincantato poeta di una società post-ideologica, ha fatto una simpatica semplificazione di ciò che è di destra e di ciò che è di sinistra, «la vasca da bagno è di destra, la doccia di sinistra», però riconosceva che, se «le scarpette da ginnastica sono un po’ di destra, portarle tutte sporche e un po’ slacciate è da scemi più che di sinistra». In questi ultimi giorni potremmo aggiungere un’altra strofa: «I 50 km/h sono di destra, le zone 30 sono di sinistra». Proviamo invece a partire dalla fisica elementare, dalla fisiologia umana e dalle statistiche ufficiali. L’energia cinetica di un veicolo è proporzionale alla massa (sempre maggiore) e alla velocità al quadrato. Dunque ridurre la velocità ha un effetto più che lineare sull’impatto tra un veicolo e – per esempio - un pedone, un ciclista o un disabile. Per la fisiologia umana, il tempo di reazione dal momento della percezione di un ostacolo a quello di inizio frenata è di circa un secondo, se si è nel pieno possesso delle facoltà cognitive, ovvero sobrio e non sotto l’effetto di farmaci o sostanze. 

Dunque, viaggiando a 50 km/h, in un secondo si percorrono circa 14 metri e per fermare il veicolo quasi altri 20. Viaggiando a 30 km/h, lo spazio percorso in un secondo è pari a poco più di 8 metri e per fermare il veicolo servono circa 6 metri. Si è già molto scritto in questi giorni: con qualche approssimazione, un impatto a 50km/h equivale ad una caduta da quasi 10 metri di altezza, mentre un impatto a 30km/h a 3 metri e mezzo e uno a 20 km/h (per esempio con un veicolo che procedeva a 30 e ha già intrapreso la frenata) equivale ad 1 metro e mezzo. Le conseguenze sono facilmente immaginabili. La similitudine è efficace, ma vi sono altri fattori in gioco. Nell’impatto tra un’autovettura ed un pedone gli esiti dell’incidente dipendono anche dalla massa del veicolo, dall’altezza del cofano e dalla sua forma. Dalla velocità dipende anche l’angolo visuale del conducente, che si restringe accelerando, diminuendo la percezione del proprio intorno. Lo spazio di arresto dipende poi dalle condizioni del fondo stradale, per esempio se asciutto o bagnato. L’estensione delle zone 30 km/h a interi centri abitati fa discutere, ma sappiamo che riducendo gli stop-and-go si riducono le emissioni e si garantisce comunque la velocità media, che già oggi in tutte le città almeno di media dimensione è inferiore a 30km/h. Inoltre, si evitano le scappatoie dei conducenti, che cambiano spesso tragitto se residuano zone a maggior velocità consentita, rendendo rischiose le nuove zone urbane attraversate. È evidente che la finalità del limite non è la repressione, ma la sicurezza e il disincentivo all’uso dei mezzi privati nelle aree urbane. L’incidentalità stradale rimane una piaga per la nostra società. Il 38% dei morti sulle strade europee avviene nelle aree urbane e il 70% di questi sono pedoni, ciclisti e conducenti di motoveicoli. Malgrado i rilevantissimi progressi degli ultimi decenni, nel 2022 i decessi in Italia sono stati 3.159, di cui 485 pedoni, che si trovano nelle aree urbane, dove gli incidenti sono cresciuti del 9,8% rispetto al 2021. Una delle concause più frequenti, secondo l’Istat, è proprio la velocità. «L’ideologia? Malgrado tutto credo ancora che ci sia. È il continuare ad affermare un pensiero e il suo perché, con la scusa di un contrasto che non c’è» (Giorgio Gaber)!

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