L’editoriale

La politica e il valore dei campi

di Antonio Troise

La protesta è esplosa a metà dicembre in Germania e si è subito allargata a macchia d’olio in tutta Europa, dalla Francia al Belgio, arrivando anche in Italia. Dieci anni fa gli agricoltori marciavano nelle piazze armati di forconi. Ora, arrivano a bordo di trattori, bloccando strade e città. La tensione è alta e lambirà anche il grande appuntamento veronese di Fieragricola che si apre oggi, alla presenza del ministro Lollobrigida. Sarà probabilmente l’occasione per fare il punto sul settore, ma anche per trovare il bandolo della matassa di una situazione che sta diventando sempre più ingarbugliata anche per i, prevedibili, risvolti politici. Non dimentichiamo che a giugno ci saranno le elezioni europee e i partiti stanno già affilando le armi. Ma il problema, oggi, più che decidere se i trattori sono «di destra» o «di sinistra» e alimentare il solito stucchevole dibattito da talk show, è di approfondire le ragioni della protesta e capire in che modo sia possibile dare delle risposte al mondo agricolo che rappresenta, bene o male, ancora il 15% del fatturato dell’economia nazionale, con un valore complessivo di 549 miliardi di euro. E, questo, solo per restare sul terreno dei numeri senza addentrarci sulla sua importanza strategica. Sia chiaro: la violenza è sempre da condannare, ci sono più modalità per far sentire la propria voce, senza intaccare i diritti dei cittadini. Ma è anche vero che ancora una volta scontiamo l’assenza, in Europa, di una politica e di una strategia che sappia conciliare le ragioni della produttività e della competitività con quelle della difesa dell’ambiente e della transizione verso un mondo con zero emissione di Co2. Il «new green deal» ha dovuto scontrarsi con la grande crisi del Covid, il nuovo quadro geopolitico mondiale, i focolai di guerra scoppiati anche nel cuore dell’Europa e un contesto economico dove colossi come Cina e India conquistano quote di mercato senza avere gli stessi vincoli dei loro diretti competitors europei. Le conseguenze sono evidenti in tutti i comparti, a cominciare da quello industriale. Solo che, nel mondo agricolo, la situazione diventa ancora più insostenibile dal momento che il settore ha dovuto fare i conti prima con la crisi pandemica e poi con la concorrenza, non sempre leale, dei prodotti extra-europei. Se a tutto questo aggiungiamo i problemi di bilancio dei singoli Stati, i tagli agli incentivi contro il caro-energia, i costi della transizione ecologica e le tante follie dei regolamenti di Bruxelles, dalle farine con gli insetti alla «carne senza carne», il bilancio diventa ancora più pesante. A questo punto non resta che una strada: mettere in campo una vera politica agricola comune che vada al di là della logica delle quote e dei sussidi e che guardi un po’ più avanti, affrontando il problema delle filiere del valore, della trasformazione dei prodotti e, soprattutto, dei costi e delle tecnologie necessarie per fare fronte alla transizione green. Una politica, in definitiva, che accompagni i trattori verso la conquista di nuovi mercati e di una maggiore redditività.

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