Le riforme e i distruttori

C'era da aspettarselo. Fino a poco tempo fa si accusava Renzi di fretta eccessiva e di mettere troppa carne al fuoco. Ora, improvvisamente, lo si accusa di aver perso slancio nel suo impegno riformista. È vero che il Def procede lungo una strada giusta di riduzione del carico fiscale e di riforma del settore pubblico, ma lo fa in maniera troppo modesta, con il passo della burocrazia e non con quello che la drammatica situazione dell'occupazione richiederebbe.
Ma il rimbrotto è inviato all'indirizzo sbagliato. A ben guardare è il groviglio di interessi economici e politici che hanno ingabbiato la società italiana che sta rallentando il ritmo delle riforme in maniera inaccettabile. E quasi sempre gli emendamenti, lungi dall'essere migliorativi, tendono semplicemente ad attenuare la spinta innovativa del provvedimento in discussione, con l'intento, spesso riuscito in passato, di lasciar passare una riforma che lascia tutto come stava.
Renzi è costretto in questo momento a puntare tutte le sue carte sulla riforma della legge elettorale, attaccata con argomenti chiaramente strumentali (cioè mirati solo a non regalare un ennesimo successo al Governo). È evidente che l'Italia soffre di varie malattie, tutte abbastanza gravi, e che per curarle ci vorranno tempo e coraggio. Ma da dove cominciare? Se non si ripristina un corretto funzionamento delle istituzioni e quindi della burocrazia, qualsiasi riforma, anche quella che riuscisse a superare gli ostacoli delle corporazioni rappresentate in Parlamento, verrebbe poi affondata dalla incapacità degli uffici di darne pratica attuazione.
Sicuramente in una situazione come l'attuale le rigide regole del fiscal compact potrebbero essere allentate, specie per i Paesi come la Germania che non hanno problemi di squilibri strutturali. Ma anche per l'Italia, visti i bassissimi tassi di interesse ha veramente senso forzare la marcia verso il pareggio di bilancio? Perché dobbiamo portare fin dal prossimo anno il deficit strutturale quasi al pareggio? Non potremmo giocarci un punto di Pil (15 miliardi) per cercare di accelerare la crescita arrivando il prima possibile più vicino al 2%? Il problema per noi non è solo convincere Bruxelles, ma anche stabilire come far arrivare questi soldi in più verso gli investimenti e non gettarli nel solito calderone improduttivo delle spese correnti. Per farlo dobbiamo far passare le riforme, a cominciare da quella elettorale. Un rinvio dell'approvazione dell'Italicum con nuovo passaggio al Senato dove la maggioranza è meno solida, darebbe un colpo a Renzi, facendo tornare in tutti gli osservatori internazionali i dubbi sulla reale volontà dell'Italia di fare le riforme.

ERNESTO AUCI

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