L’editoriale

Linea dura ma anche educare

di Antonio Troise

C’è un filo rosso che lega l’ennesima aggressione di un insegnante da parte di un genitore e la giornata contro il bullismo che si è celebrata ieri: è quello del diritto dei nostri figli di studiare e di essere educati in un ambiente non violento e sicuro. E, dall’altra, il diritto degli insegnanti di svolgere il proprio lavoro senza avere il timore di essere picchiato o offeso. Due dati per tutti. Rispetto all’anno scorso c’è stata una crescita delle aggressioni degli insegnanti del 111%. Mentre più di uno studente su 4, secondo un’indagine sul campo condotta dal ministero dell’Istruzione, ha dichiarato di essere vittima di bullismo, con un aumento del 27% rispetto all’anno scorso. Senza considerare poi la variabile, tecnologica, del cosiddetto cyberbullismo, denunciato dall’8% della platea studentesca. Numeri che potrebbero addirittura essere sottodimensionati, dal momento che non tutti gli insegnanti e non tutti gli studenti denunciano i fenomeni di violenza. Certo, si dirà che fenomeni del genere sono sempre esistiti fra le mura degli edifici scolastici. Ma di fronte a questi numeri diventa obiettivamente difficile voltarsi dall’altra parte.

O ignorare i tanti episodi di cronaca che continuano ad accumularsi anche fuori della scuola, come quello dello studente di Pieve Emanuele accoltellato un paio di giorni fa da un suo conoscente. Il dato di fatto è che questi fenomeni sono diffusi dovunque lungo lo stivale italiano, dalla Calabria alla Lombardia. E non c’è neanche una grande differenza fra quello che avviene negli istituti di periferia e quelli più «abbienti», frequentati anche dai «figli di papà». Fa bene il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, a tenere alta la soglia dell’attenzione studiando una pluralità di azioni per combattere le violenze contro il personale della scuola. Anche attraverso un inasprimento delle pene e introducendo il principio di far pagare i danni provocati agli istituti, anche dal punto di vista «reputazionale». Chi aggredisce un dipendente della scuola, ha spiegato il ministro, colpisce anche lo Stato, «minando nel profondo la credibilità e l’autorevolezza dell’istituzione». Il disegno di legge in discussione al Senato, prevede una stretta contro la violenza, anche dando un maggior peso al voto in condotta e ripensando all’istituto della sospensione. Tutto bene. Ma forse la stretta non basta. Per prevenire e combattere la violenza occorre soprattutto agire sulla leva della cultura e dell’educazione, a tutti i livelli. Coinvolgendo le istituzioni presenti sul territorio, ad esempio, come la Chiesa o le strutture del volontariato. Ma anche sviluppando percorsi formativi che coinvolgano tutti i soggetti in prima linea contro la violenza nelle scuole, dai genitori agli studenti fino, ovviamente, ai docenti, che possono svolgere un ruolo di guida. O, ancora, potenziando le politiche giovanili, per prevenire fenomeni di disagio e per contenere al massimo i fenomeni di bullismo. Una strategia complessiva che ponga i ragazzi, i docenti i genitori e, in generale, la scuola al centro delle politiche educative e di sviluppo del Paese.

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