L’editoriale

Meno debito e più crescita ecco la sfida

di ERNESTO AUCI

Per sua cultura Giorgia Meloni è statalista, un po’ autarchica, e portata a vedere complotti da parte di paesi stranieri, anche vicini, contro la nostra Nazione. Ma è anche pragmatica e capisce rapidamente la situazione nella quale si è trovata una volta conquistata la Presidenza del Consiglio. L’Italia ha urgente bisogno di mettere a posto i conti pubblici. Non possiamo tenere un livello di debito così elevato (140% del Prodotto interno lordo) e nello stesso tempo dovremo dare impulso alla crescita perché solo in questo modo sarà possibile ridurre il peso del debito senza far stringere troppo la cinghia agli italiani con nuove tasse, patrimoniali e sul reddito. Ed ecco che il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti per quadrare i conti pubblici tira fuori dal cappello la vendita di aziende pubbliche per ben venti miliardi di euro in tre anni. Sarà possibile? Per il momento è stata fatta una vendita di circa il 25 per cento del Monte dei Paschi incassando circa un miliardo. Non è molto ma il gesto politico è rilevante in quanto rassicura il mercato sulla reale volontà politica dell’attuale maggioranza di procedere effettivamente ad alleggerire la presenza diretta dello Stato nell’economia.
Finora, per la verità il governo si era mosso in direzione contraria aveva cioè cercato di aumentare la presenza dello Stato nella gestione diretta delle imprese. Era stato dato il via libera all’acquisto delle Autostrade da parte della Cassa depositi e prestiti. Ora si nazionalizzerà lo stabilimento siderurgico di Taranto. Soprattutto lo Stato è stato un protagonista delle vendita della rete Tim . Soprattutto è stata usata in maniera molto spregiudicata la Golden power cioè il potere di bloccare eventuali acquisti dall’estero di aziende italiane ritenute strategiche. Allargando il concetto di strategicità il massimo possibile. Sul cosiddetto socialismo municipale, e cioè sulle quasi 10 mila aziende possedute dagli enti locali non si è fatto nulla sia perché la Lega di Salvini è gelosa custode del potere delle autonomie locali, sia perché dentro Fratelli d’Italia c’è una forte corrente statalista, che diffida del mercato , delle imprese private , e guarda con sospetto al concetto di profitto. D’altra parte bisogna riconoscere che oltre al Monte dei Paschi, anche la cessione della ex Alitalia sta andando a buon fine. Lo Stato mantiene una rilevante partecipazione ma si spera che entro qualche anno la compagnia possa essere ceduta definitivamente. Ora il problema è cosa cedere ancora per arrivare alla bella cifra di 20 miliardi? Si pensa di mettere in Borsa una ulteriore quota di Poste italiane già quotata e che sta dando molte soddisfazioni agli azionisti. Da questa operazione il Tesoro potrebbe ricavare altri tre o quattro miliardi. Poi occorrerebbe quotare anche le Fs o almeno la sua controllata Trenitalia che sta dando buoni risultati economici. Se ci si basa sulla valutazione del concorrente Ita, Trenitalia potrebbe valere almeno quanto il fatturato che supera i 5 miliardi. Lo Stato potrebbe incassare quindi almeno altri due miliardi rimanendo azionista di controllo della società. Di qui in poi la strada si fa più difficile. Esclusa la vendita di quote di Eni, Enel, Leonardo, perché lo Stato ha poco più del 30% di queste aziende che sono veramente strategiche. Bisognerà quindi cercare di forzare gli enti locali a vedere parte delle loro partecipate, specie quelle operanti nelle utility , elettricità, gas e acqua. Ma sarà una vera battaglia e poi bisognerà capire come fare arrivare i soldi dalle casse degli enti locali a quelle del Tesoro dello Stato. Ma gli effetti più importanti delle privatizzazioni non stanno nella parte finanziaria. Quello che conta veramente è se l’uscita dello Stato da queste attività imprenditoriali comporterà una maggiore efficienza delle aziende stesse, così da ridurre i costi per gli utenti e dar vita ad una politica di più rapida espansione sia in Italia che all’estero. Quello che conta , anche per tenere sotto controllo il debito pubblico è infatti la possibilità di accelerare la nostra crescita. Ciò si può ottenere solo con un miglioramento della produttività generale del sistema e tutti gli sforzi del Governo dovranno essere indirizzati a questo scopo. Finora Meloni è stata ambigua nei confronti dell’economia di mercato. A parole elogia gli imprenditori poi però si abbandona a trovate demagogiche come la tassa sugli extra profitti delle banche (ma il concetto si può estendere a tutte le aziende) o la bocciatura del Mes che impedisce di fare passi avanti per un mercato finanziario europeo veramente integrato. Ci si augura che il Governo sappia sciogliere presto queste contraddizioni.

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