L’EDITORIALE

Perchè sul campo abbiamo vinto tutti

di Filippo Falconeri

Ha vinto l’Italia ma anche la Spagna e soprattutto il suo allenatore Luis Enrique. Se una partita di calcio seguita da milioni di persone, non è solo sfida sul campo ma diventa messaggio in qualche misura extra sportivo, nella sera di Londra è spuntato il sole. Ma cosa è accaduto di tanto significativo? Ebbene, alla lealtà con cui si sono affrontati i giocatori sul terreno verde sono seguite le dichiarazioni degli spagnoli nel segno del rispetto e dell’applauso per il vincitore. Di più: la riflessione dell’allenatore iberico sul momento della sconfitta da vivere positivamente come riflessione, introspezione, insegnamento di vita e ripartenza verso nuovi traguardi sgombra per un attimo le nebbie da un sentire comune che vede il cadere, non solo sul campo, nella sola accezione negativa. Ormai la sconfitta è intesa come evento irreparabile, da nascondere ed esorcizzare, magari attraverso maledizioni ed accuse all’avversario. In una società in cui la forza di un individuo è direttamente proporzionale all’effimero successo del momento è vietato riflettere su debolezze e sconfitta. Si è discusso a lungo in questo Europeo di calcio se fosse giusto compiere il gesto di inginocchiarsi, prima della partita, in nome della lotta alla razzismo ed all’intolleranza. Posto che ogni segnale, ogni parola contro la xenofobia è straordinariamente importante, è però con gli atti concreti che si cambiano le cose. Chi serra il pugno e poi in campo (o fuori...) mena o insulta l’avversario cosa insegna ai propri figli?

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