L’editoriale

Più lavoro, l’antidoto ai divari

di Ernesto Auci

È noto da tempo che l’inflazione è la tassa più ingiusta che ci sia: l’aumento dei prezzi riduce sia il valore degli stipendi e delle pensioni, sia il valore della ricchezza delle famiglie. E in più colpisce in maniera più forte quelle che hanno un reddito e una ricchezza media o bassa. Infatti coloro che hanno uno stipendio o una pensione subiscono rapidamente l’aumento dei prezzi dei beni o dei servizi che devono comprare, mentre l’aumento dei salari arriva in ritardo e non sempre è pieno. Se la ricchezza è composta per la maggior parte dal possesso di immobili, nelle prime fasi di esplosione dell’inflazione sembra reggere abbastanza bene tanto che il valore delle case tende ad aumentare perché molti cittadini che posseggono denaro liquido sono portati a investirlo nel vecchio e buon mattone che alla lunga non ha mai tradito le attese dei risparmiatori. Tutti invece subiscono l’erosione sia dei risparmi tenuti in banca, sia del patrimonio investito in titoli obbligazionari e azionari. I dati diffusi ieri da Istat e Banca d’Italia confermano questa vecchia legge economica. Tuttavia hanno un valore informativo modesto perché si riferiscono al 2022, cioè l’anno dell’insorgere dell’inflazione e del repentino aumenti dei tassi d’interesse da parte delle autorità monetarie.

Se si disponesse di dati completi per il 2023 si vedrebbe probabilmente una situazione parecchio diversa. Infatti la ripresa del valore delle azioni (l’Italia è il Paese che ha registrato la migliore performance di Borsa dell’Occidente) e, nell’ultima parte dell’anno, delle obbligazioni le cui quotazioni sono salite di pari passo con il calo dell’inflazione, hanno dato un beneficio ai risparmiatori più evoluti, quelli che rischiano investendo in azioni o hanno saputo andare in banca per tramutare parte della giacenza liquida in titoli obbligazionari. Non ha caso il nostro ministero del Tesoro ha emesso diverse serie di titoli riservati ai piccoli risparmiatori che ora mostrano guadagni in conto capitale. Per quel che riguarda gli immobili i prezzi sono ancora abbastanza fermi dopo il lieve calo registrato a inizio anno in correlazione con il forte aumento dei tassi sui mutui. La ripresa sarà molto più lenta di quella delle quotazioni di Borsa, inizierà solo dal momento che la Bce darà segnali concreti di avere imboccato la strada della riduzione dei tassi. I numeri diranno quindi che c’è uno squilibrio dal punto di vista della ricchezza tra le categorie più evolute, e sicuramente più ricche, che hanno beneficiato dei rialzi delle Borse, e quelle composte dai meno abbienti che in genere hanno il patrimonio concentrato sugli immobili. Questo farà pensare a un eccesso di concentrazione della ricchezza in poche mani e quindi spingerà a chiedere l’introduzione di nuove tasse sui patrimoni o sugli immobili (quelli di alto valore), o sui redditi più elevati nel tentativo di attenuare le diseguaglianze. Accanto alla tassazione dei più ricchi molti pensano che lo Stato debba continuare a intervenire per sostenere i redditi dei lavoratori, specie quelli di fascia bassa, come dei resto è stato fatto con il taglio dei contributi sociali e della prima aliquota Irpef. Sicuramente il calo delle tasse sui redditi da lavoro è una buona cosa. Molti studiosi e tanti organismi internazionali lo consigliano da tempo. Spostare il peso delle imposte sulle indirette (Iva, casa, tassa di successione, carburanti) è una strada difficile ma che, con gradualità, si deve iniziare a percorrere insieme ad una vera riduzione delle spese pubbliche a cominciare dai tanti sprechi che esistono sia nelle troppe mance elargite a questa o quella categoria, sia nella eccessiva generosità per le pensioni. Ma questo non ha nulla a che fare con l’invocazione di una qualsiasi patrimoniale che ha un segno più punitivo che riformista. Così come non è giusto invocare in astratto nuovi aiuti governativi sui salari perché - si dice - in questo modo si sosterrebbe la domanda interna. Sì, ma nulla assicura che i consumatori sceglierebbero prodotti fabbricati in Italia se la nostra economia non saprà produrre beni competitivi sia nel prezzo che nella qualità. Insomma il problema non è quello di cercare di arraffare qualche soldo dai «ricchi» per alimentare la spesa pubblica, ma quello di riformare il nostro sistema per renderlo sempre più competitivo e per questa vi
a creare più posti di lavoro, pagati meglio, e ottenere in questo modo una maggiore soddisfazione degli stessi lavoratori e quindi dei cittadini elettori.

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