L'EDITORIALE

Quel modo confuso di chiedere aiuto

di Gianni Zen

«I giovani non hanno l’esperienza, ma il fiuto della realtà e della verità». Così di recente Papa Francesco. Il problema è che questo fiuto, a volte, non si lascia incardinare entro i canoni che, lo impariamo appunto dall’esperienza, possono accompagnare verso la maturità, cioè l’equilibrio delle possibilità. Questo ci fa dire che l’adolescenza e la giovinezza sono sentieri a volte impervi, non per niente scontati, con fuoripista che possono condurre a forme contraddittorie di ricerca di sé stessi. Perché questa è l’adolescenza, questa è la giovinezza. Cioè ricerca di sé in relazione all’altro, agli altri, ai vari contesti sociali, valoriali, agli interessi in campo. Gli episodi che hanno riempito le cronache, anche di questi giorni, relativi tra l’altro a forme di autolesionismo, a solitudini accentuate dalla didattica a distanza, addirittura ai tentativi di suicidio: tutti ci dicono che non possiamo e no dobbiamo abbassare la guardia. Questo significa riconoscere per tempo i campanelli d’allarme, magari a partire da piccoli segnali di comportamento e di linguaggio. Perché il disagio viene quasi sempre mascherato, a parte alcune situazioni nelle quali invece assume forme estreme. Quasi a dire di una non sopportabilità del dolore esistenziale.

Pensiamo a forme, poi, di isolamento e di riduzione dell'impegno scolastico, sportivo, di lavoro. Ma anche al cambiamento d'umore, a una comunicazione confusa, non sempre comprensibile. E anche l'abbandono scolastico è tornato a far paura, anche a Brescia. Un'epidemia più silenziosa del Covid19.Resta che, al dunque, gli adolescenti ci parlano, anche se per lo più indirettamente. Forme indirette di richieste di aiuto. Come interpretare certi segnali? Si tratta di avere sempre l'accortezza e il garbo, quando le situazioni si fanno problematiche, di aiutare ad aiutarsi, anzitutto a chiedere aiuto, superando anche il possibile senso di pudore o di vergogna. Chiedere aiuto è già un passo in avanti, perché dice della volontà di ricerca di una possibile salvezza.Anche a scuola può fare la sua parte. Ma non si può improvvisare. Ci vogliono persone competenti e capaci di dialogo. Ogni scuola, del resto, ha ormai il suo consulente psicologico, il quale può incontrare i docenti, come entrare nelle classi.La pandemia, ce lo siamo ripetuti tante volte, ci ha cambiati un po' tutti. Ed è stata la salute mentale degli adolescenti, anzitutto, ad avere sofferto in questi due anni problematici. Può bastare un solo dato: gli accessi nei pronto soccorso sono aumentati, rispetto al periodo pre-Covid19, dell'84% per patologie neuropsichiatriche. Per i tentati suicidi, addirittura, l'aumento è stato del 147%.I problemi, poi, di gestione dell'ansia e i disturbi dell'umore sono più diffusi di quanto si pensi, assieme ad alti livelli di disregolazione emotiva.Le forme di disagio che troviamo manifestate attraverso il corpo ci dicono che la gestione delle sensazioni ed emozioni, comprese quelle sofferenze che possono tradursi in comportamenti autolesivi, non è mai facile.Insomma, l'adolescenza oggi è più complicata rispetto alle generazioni passate, perché non ci sono più punti fermi. Non solo sul piano sociale, del lavoro, ma anche a livello di convinzioni, di un pensiero autonomo, di prospettive sul futuro.

E questo porta, anzitutto i giovani, a concentrarsi sul presente, mettendo tra parentesi («ci penserò») la domanda sul futuro possibile. Gli stessi legami affettivi, ad esempio, non possono più pretendere quel «forever» che era scontato nei decenni passati. Per cui si tende a vivere per l'oggi, e per il domani («chi vivrà vedrà»).Il loro tempo, insomma, è l'età dei frammenti, ma senza fili conduttori ben visibili.I due anni di pandemia, prima con il grande bisogno relazionale messo in crisi, adesso con una guerra che vediamo ogni giorno riprodotta a livello di immagini, ci dicono che non solo per il domani, ma anche per l'oggi «non v'è certezza».Eppure questi nostri adolescenti sono la nostra speranza di futuro. E dobbiamo guardarli con simpatia, sapendo, forse, che il vero problema per loro siamo noi adulti. Nel senso che i giovani hanno bisogno di incontrare autorevolezza, non autorità. E quando c'è autorevolezza, in famiglia, a scuola, nel lavoro, in politica, nella società, loro non si tirano indietro. Si danno. Ma hanno bisogno di avere punti di riferimento credibili, seri.Se invece non trovano adulti coerenti, che dicano anche alcune verità importanti, rischiano di non sapere da che parte girare lo sguardo: si isolano, rischiano di deprimersi, di arrendersi (come i famosi Neet, diecimila nella sola provincia di Brescia, ha detto nei giorni scorsi durante una visita in città la ministra Dadone), senza più capacità di "mordere" il mondo. Per cambiarlo, per migliorarlo. Sapendo che il digitale ha schiacciato tutto sul presente, che internet è un orizzonte che può disorientare e annientare, che nasconde mille trappole, e che le troppe informazioni che rimbalzano sullo smartphone senza un filo conduttore che li aiuti e ci aiuti a mediare tra i mille rigagnoli delle news, rischiano di destabilizzare la nostra e la loro percezione del presente e del futuro possibile..

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