CRISI BANCARIE

Tra America ed Europa i tassi sono il filo rosso

di Francesco Morosini

La questione è se le crisi di Silicon Valley Bank e Credit Suisse annuncino un nuovo pericoloso Kriminal tango bancario in Usa nel Vecchio continente. In linea di principio qui la rete di sicurezza sul credito è solida e concettualmente innovata avendo posto le banche sistemiche sotto il controllo della Bce. Analogamente vale per la Svizzera. Inoltre da questa parte dell’Atlantico si è evitata la deregulation di Trump, che ha elevato l’asta del controllo sulle banche minori da 50 a 250 miliardi di dollari. Quindi nonostante i problemi di Svb e di Credit Suisse, uno tsunami bancario per mero contagio è difficile. Anche se c’è qualcosa che accomuna le tensioni bancarie di Vecchio e Nuovo mondo. È il timore di tassi in salita. Ciò posto il caso della californiana Svb ha peculiarità esclusivamente californiane. Certo, come afferma ora il presidente dell’Associazione bancaria italiana Antonio Patuelli, le crisi delle aziende di credito presentano caratteristiche comuni, nel senso che le banche «saltano in aria per due motivi: carenze di liquidità o problemi di solidità patrimoniale». Ma pure il modello di businness vi incide. Svb ha puntato tutto su modelli di sviluppo tecnologico di consumo tipo «tutti a casa, c’è il Covid». I recenti massicci licenziamenti nel settore high tech in Usa ne hanno annunciato la crisi. La patologia di Svb è di un businness troppo legato al settore. Al di là di regole diverse, nelle banche europee questa problematica è assente. Infine la gestione di Svb era squilibrata.

Al passivo a basso interesse mega depositi a breve oltre i 250.000 dollari (quindi neppure coperti da assicurazione) e all’attivo prestiti in obbligazioni a medio lungo periodo (in gran parte pubbliche). Un equilibrio difficile da reggere se le Autorità monetarie alzano, causa inflazione, i tassi d’interesse. Perché si crea un disallineamento tra la remunerazione dei depositi, i cui titolari chiedono aumenti (o li ritirano), e quella del portafoglio di titoli poliennali a tasso fisso. Di qui perdite e la possibilità di dover intaccare il capitale. Come detto, oltre alla particolarità «californiana» di Svb dovrebbe essere l’intervento delle Autorità statunitensi a circoscrivere il contagio in Usa. Insomma, rischi in materia dovrebbero essere più supposti che reali. Purtroppo, il contagio viaggia pure sulle ali del panico e nulla è sicuro. Lo dimostra la reazione molto nervosa dei mercati ieri in Europa. Peraltro, è un’incertezza che nasce anche dalla vicinanza di decisioni di Bce e Fed sui tassi. Che è il filo rosso macroeconomico che accomuna i timori nei mercati bancari. Quanto alla crisi di Credit Suisse, è stata annunciata da Goldmann, prevedendovi la necessità di massicce iniezioni di denaro. Poi sempre da oltreatlantico un uno/due pesante. Credit Suisse è stata accusata di manipolare il mercato e di complottare con i suoi clienti per frodare il fisco degli Stati Uniti. Risultato: una capitalizzazione di borsa al lumicino e i Credit defualt swap (le assicurazioni contro il suo fallimento) sempre più care (perché chi le vende teme di dover pagarle). Insomma, i casi di Svb e Credit Suisse sono sì diversi, anche se la dinamica delle crisi bancarie presenta analogie contabili. Invece il filo certamente comune è quello dei tassi d’interesse decisi dalle Autorità monetarie. Che devono muoversi tra Scilla (l’inflazione) e Cariddi (la stabilità finanziaria). La crescita dei tassi nell’immediato aumenta la remunerazione delle banche (ad esempio maggiori rendimenti dei loro depositi presso la Bce). Poi però sono i costi (di raccolta, per minusvalenze dei titoli in bilancio, per i crediti inesigibili causa crisi aziendali) a presentare loro il conto. Difficile la scelta delle Autorità monetarie tra la possibilità immediata di recessione e un futuro di capitalismo tossico da moneta facile. Presto dovranno scegliere. Difficile perché la moneta «facile» ormai ha fatto molti danni. 

Suggerimenti