Una nuova giustizia ma regna il silenzio

di Davide Rossi

Aleggia una surreale cappa di silenzio sui prossimi quesiti referendari. Pochi rammentano, infatti, che la decisione di votare a giugno è dipesa dal fatto che alle amministrative che si svolgeranno in alcuni Comuni si associa un nodale consulto referendario sulla giustizia. Il rapporto tra il potere giudiziario e la politica è un tema scottante, che non lascia il palcoscenico italiano da un trentennio: proprio quest'anno, infatti, è l'anniversario di "Mani Pulite", esperienza con cui una classe dirigente fu spazzata dal finanziamento illecito ai partiti. Ma come non ricordare l'episodio degli anni Ottanta, quando Cossiga inviò i carabinieri a Palazzo dei Marescialli - sede del Consiglio Superiore della Magistratura -, senza tralasciare i decennali cruenti scontri tra le varie procure e Berlusconi, fino alla recente apertura di un giudizio nei confronti di un ministro dell'Interno per atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni? A fare da sfondo, la vicenda di Luca Palamara, che con i suoi libri ha contribuito ad alimentare un clima già infuocato. Se nella prima Repubblica i poteri dello Stato tendevano a procedere quasi in parallelo, è indubitabile come dagli anni Novanta sia iniziato uno scontro all'arma bianca tra la politica e la magistratura. Dei sei quesiti sostenuti da radicali e Lega, uno non ha passato il vaglio di controllo della Corte Costituzionale, quello relativo alla responsabilità civile dei magistrati. Ma dal punto di vista dei contenuti, neppure gli altri cinque su cui gli italiani si esprimeranno il 12 giugno sono da meno. Si chiede di eliminare la «reiterazione del reato» dai motivi per cui i giudici possono disporre la custodia cautelare per una persona durante le indagini e quindi prima del processo; quindi si intende abrogare una parte della Legge Severino dedicata all'incandidabilità e alla decadenza automatica per quanti svolgano attività politica e siano stati condannati in via definitiva a più di due anni di carcere per reati di allarme sociale, contro la pubblica amministrazione e non colposi. Un terzo quesito - forse il più delicato - riguarda l'annosa questione della separazione delle carriere dei magistrati, ponendo fine alla possibilità di modificare, in corso di carriera, la propria funzione, tra quella requirente e giudicante. Infine, gli ultimi due, particolarmente tecnici, legati al modello elettorale dei membri togati del Consiglio superiore della Magistratura, eliminando l'obbligo di raccogliere da 25 a 50 firme per presentare la propria candidatura, e quello relativo all'aumento delle competenze in capo agli avvocati e ai docenti universitari nei consigli giudiziari, organi periferici di amministrazione della giustizia, introducendo la possibilità di esprimersi in merito alla valutazione dell'operato dei magistrati e della loro professionalità. I partiti si sono divisi in maniera trasversale: accanto ai due promotori troviamo Forza Italia, Italia Viva e Azione. Il Movimento 5 Stelle è schierato per il "no", mentre il Pd ha lasciato libertà di voto, con il segretario Enrico Letta che ha però palesato la sua contrarietà. Fratelli d'Italia, infine, appoggia una parte dei quesiti, non sostenendo quelli relativi alla custodia cautelare e alla Legge Severino. Questa frammentarietà ha purtroppo reso alquanto ardua la possibilità di affrontare con spirito sereno un percorso di trasformazioni - che in verità dovrebbero partire dal cappello costituzionale - divenuto ormai inevitabile. Il ricorso al referendum trova, quindi, la sua primaria finalità proprio nel tentativo di voler sbloccare un impietoso stallo: è evidente che i cittadini faticheranno a orientarsi su questioni così articolate, varie tra loro e oltretutto contenutisticamente parziali. Ma è altrettanto evidente che sono decenni che si procrastina questa situazione di tensione tra i due poteri. In attesa di sapere l'esito e, ancor più, il necessario raggiungimento del quorum, in parallelo è in discussione una riforma patrocinata dal ministro Cartabia e che per molti operatori non appare così incidente come sperato. Anche se - a mio avviso - la questione giustizia dovrebbe essere risolta prima di tutto dal punto di vista culturale, richiedendo una differente attenzione, serietà e ponderazione tra i delicati interessi in gioco, in cui sono sottese scelte che riguardano direttamente la tutela dello Stato di diritto e gli equilibri tra le libertà individuali e il potere coercitivo pubblico. 

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