Il mito «Two-Lane Blacktop» e la libertà secondo Hellman

di Luca Canini
Laurie Bird, Dennis Wilson e James Taylor: alle loro spalle la Chevy ’55 protagonista di «Two-Lane Blacktop»
Laurie Bird, Dennis Wilson e James Taylor: alle loro spalle la Chevy ’55 protagonista di «Two-Lane Blacktop»
Laurie Bird, Dennis Wilson e James Taylor: alle loro spalle la Chevy ’55 protagonista di «Two-Lane Blacktop»
Laurie Bird, Dennis Wilson e James Taylor: alle loro spalle la Chevy ’55 protagonista di «Two-Lane Blacktop»

Il meno visto e di sicuro il meno celebrato tra i road movie della grande stagione «hippie» (da «Easy Rider» in avanti). Un capolavoro nascosto tra le pieghe dei primi anni Settanta che ha condiviso il percorso ostinatamente laterale di uno dei grandi irregolari del cinema americano: Monte Hellman, scomparso di recente (il 20 aprile) dopo una lunga carriera da rinnegato della fabbrica dei sogni. Un duro e puro cresciuto nella bottega di Roger Corman, l’artigiano dell’horror, e che nel 1971, al momento dell’uscita di «Two-Lane Blacktop» (che poi uscita non fu, ma ne parleremo più avanti...), aveva alle spalle un paio di western destinati a rivoluzionare la grammatica del genere, «The Shooting» («La sparatoria») e «Ride in the Whirlwind» («Le colline blu»), entrambi con Jack Nicholson, e una lunga lista di progetti deragliati. 1971, dicevamo. Dopo l’ennesima occasione non andata in porto, una produzione in Italia che l’ha costretto a un lungo soggiorno all’estero, Hellman si ritrova per le mani una specie di sceneggiatura scritta da Will Corry che qualcuno si è messo in testa di trasformare in un film. «Non funzionava, ma mi piaceva», racconterà poi il futuro regista di «Two-Lane». Che ha però il solito problema: trovare una casa di produzione che ci metta i dollari. Un po’ meno difficile forse rispetto a oggi, ma comunque complicato considerando che Hellman è un emerito signor nessuno (o quasi). Ma fortuna vuole che la Universal stia attraversando un periodo di relativa apertura al nuovo, con un programma di cinque film «giovani» da mettere in cantiere nel giro di un paio d’anni. Risultato: un piccolo budget per il progetto (850mila dollari), un secondo scrittore per l’adattamento definitivo del soggetto di Corry (Rudy Wurlitzer) e semaforo verde alle prime fasi della lavorazione. Che inizia dal casting. Il ruolo del primo dei tre protagonisti maschili è subito assegnato: per la parte di GTO Hellman ha in mente la faccia di Warren Oates, fresco di passaggio dalle parti di Peckinpah per «The Wild Bunch». Meno semplice arrivare all’attore che deve dare voce e volto al pilota della Chevy ’55 attorno alla quale ruota la storia. Si pensa a Kris Kristofferson (che nel film ci finisce comunque sotto forma di canzone: «Me and Bobby McGee», che fa capolino in una delle scene clou), ma alla fine il suggerimento giusto arriva da un manifesto che attira lo sguardo di Hellman, quello per il lancio del secondo disco di un giovane cantautore: James Taylor (avete presente la copertina di «Sweet Baby James»? Ecco). Infine il ruolo del meccanico, che il regista decide di affidare a Dennis Wilson, batterista dei Beach Boys e pecora nera del surf rock californiano (suo uno dei dischi monumento della West Coast: «Pacific Ocean Blue»). Un cast che sa già di leggenda e al quale si aggiunge la giovanissima Laurie Bird, una carriera da meteora nel mondo del cinema, compagna prima dello stesso Hellman e poi di Art Garfunkel (si sarebbe suicidata nel 1979, a soli 26 anni, con un overdose di Valium; e a lei l’altra metà del duo folk più famoso di sempre avrebbe dedicato l’album «Scissor Cut» del 1981). Di cosa racconta «Two-Lane»? La trama in realtà è poco più di un filo di seta. Due ragazzi, un pilota e un meccanico, dei quali non sapremo mai nemmeno i nomi, se ne vanno a spasso per l’America di provincia a bordo di una Chevrolet truccata. Vivono di corse clandestine, incrociano i passi di una minorenne allo sbando e si ritrovano a sfidare uno strampalato fanfarone che guida una Pontiac GTO. Poco altro da dire. Il film è un inno alla libertà che vive di sussurri più che di grida, che non ha certo l’epica lisergica di «Easy Rider», ma che riesce a essere ancora più radicale (anche stilisticamente: vedere per credere il finale) nel ridicolizzare l’american way of life. Non stupisce che la Universal decise di ripudiarlo, tagliando le gambe al regista e boicottandone l’uscita. Fiasco allora, cult assoluto oggi.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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