L'INTERVISTA

Stefano De Martino: «Arbore, Dalla, Morandi: nel mio show unisco i puntini delle arti che amo»

di Gian Paolo Laffranchi
Il 24 febbraio al Gran Teatro Morato il suo «Meglio stasera! Quasi one man show»
Il 24 febbraio al Gran Teatro Morato Stefano De Martino è atteso in «Meglio stasera - Quasi one man show» ALESSANDRO BACHIORRI
Il 24 febbraio al Gran Teatro Morato Stefano De Martino è atteso in «Meglio stasera - Quasi one man show» ALESSANDRO BACHIORRI
Il 24 febbraio al Gran Teatro Morato Stefano De Martino è atteso in «Meglio stasera - Quasi one man show» ALESSANDRO BACHIORRI
Il 24 febbraio al Gran Teatro Morato Stefano De Martino è atteso in «Meglio stasera - Quasi one man show» ALESSANDRO BACHIORRI

Chi dopo Amadeus? Chi sarà il bravo-presentatore-d’Italia del futuro? Chiedilo ai grandi del mestiere e la risposta sarà una, quella data da Fabio Fazio a L’Espresso: «Si può puntare su Stefano De Martino. Ha la fortuna di essere bello, è un ragazzo intelligente e il suo programma “Bar stella”, è un po’ arboriano». L’arte della sintesi, per definire l’artista poliedrico che veleggia sopra il gossip (alimentato dell’ex moglie Belén Rodríguez sulle sue presunte amanti del tempo in cui erano sposati) citando Charlie Chaplin («La vita è una tragedia in primo piano e una commedia in campo lungo: spero che l’inquadratura si allarghi, sulle nostre vite»). Uno che ai pettegolezzi preferisce il palcoscenico, in grado di reggere qualcosa come «Meglio stasera! Quasi one man show»: un giro d’Italia in compagnia di 8 musicisti e 4 danzatori che lo porterà il 24 febbraio al Gran Teatro Morato (inizio alle 21.15, biglietti da 28 a 46 euro, prevendite su Ticketmaster e Ticketone, info su www.zedlive.com).

Uno show da attore-ballerino-crooner-storyteller: basta per essere il nuovo bravo-presentatore-d’Italia, a 34 anni?
Non ho l’ossessione della carriera. Ho una visione del mio lavoro molto a lungo termine e questo mi aiuta a vivere tutto con impegno, ma senza affanni. Quando mi dicono «Ma... il prossimo Festival di Sanremo?» Rispondo che posso farlo anche tra vent’anni: ne avrò 54 e sarò ancora sotto la media dei conduttori italiani, magari anche allora diranno «Così giovane già fa Sanremo...». Non sono legato agli exploit. Bibi Ballandi, grande e compianto produttore televisivo, m’ha insegnato che è meglio «volare bassi per schivare i sassi». Ho vissuto una grande esposizione da ragazzo e ne ho capito gli svantaggi.

La danza fin dall’infanzia, una borsa di studio a New York e la scuola di «Amici» come fosse quella di «Saranno famosi»: alla corte di Maria De Filippi ha vinto fra i ballerini e si è aggiudicato un contratto, è diventato conduttore, è tornato da giudice. Nel mezzo il balletto e i programmi, «L’Isola dei famosi» e «La notte della Taranta», «Made in sud» e «Stasera tutto è possibile» (in sostituzione di Amadeus). Una tappa dopo l’altra, ma un crescendo costante.
Per migliorare bisogna esercitarsi, per decollare servono tante ore di volo. Non c’è niente di più sano dello studio, dell’applicazione. Ho raggiunto presto obiettivi importanti, ma amo così tanto questo lavoro che non voglio che si consumi. È come la tua candela profumata preferita andata fuori produzione: ogni tanto l’accendi, ma la centellini perché altrimenti poi sarà finita e non ce ne saranno più. Non ho fretta, nessuna ansia di grandi numeri e sold out.

Il suo «quasi one man show» è un racconto creativo senza limiti: gag e monologhi umoristici, improvvisazioni e scherzi col pubblico, riferimenti colti e «mai una sola canzone per volta». Il senso del tutto?
Volevo unire i puntini delle cose a cui mi dedico fin da quando ero bambino. Nel tempo il mio lavoro ha avuto varie mutazioni. Trovare un luogo più adatto del teatro era difficile. In questo luogo io posso spaziare da un ambito all’altro senza vincoli di contesto, in tv sarebbe stato più complicato creare uno spazio in cui ballare, cantare e non solo. Questa dimensione teatrale mi appaga tantissimo, divertendomi come nient’altro.

Miranda Martino cantava «Meglio stasera che domani o mai» con gli arrangiamenti di Ennio Morricone: per trasmettere la suggestione di quei tempi d’oro la Disperata Erotica Banda si esprime sospesa fra Renato Carosone e Festival Sanremo. Con Lucio Dalla come nume tutelare?
Sì, assolutamente. Lucio era un napoletano di Bologna. Nonostante abbia ascoltato tutto di lui, è come quei libri che rileggi volentieri perché hanno sempre cose nuove da dire. Come Califano è un poeta che vale sempre la pena rappresentare. E citare Disperato Erotico Stomp, un vero capolavoro, è venuto naturale.

I suoi gusti musicali sono questi?
Sono onnivoro, ascolto di tutto. Ma la gratificazione che mi danno i testi di Lucio è impareggiabile. Un album come «Henna», che non è tra i più noti ma per lui era il più bello, con la partecipazione di un gigante come Marcello Mastroianni in «Cinema», è qualcosa di inimmaginabile
 

Come l'inossidabilità del fraterno amico di Dalla Gianni Morandi.
All'età che ha ora Gianni mi immagino sul divano a guardare Morandi protagonista in tv! Le racconto questo. All'inizio di questo tour invernale siamo a Bologna, all'EuropAuditorium; a un certo punto sul palco parlo della condizione del giovane conduttore Rai, cito ad esempio l'inossidabile Morandi e chi c'è in platea?

Gianni Morandi.
Sì! Una cosa meravigliosa. Abbiamo cantato «Banane e lamponi» per omaggiarlo, è venuto a salutarmi in camerino e ci siamo tanto divertiti, rideva tantissimo. L'ho ringraziato e lo ringrazio: per un giovane vecchio come me, avere in platea come spettatore per due ore Gianni Morandi è una gioia così grande che la si può provare soltanto a teatro.

Quattro edizioni di «Bar Stella», anche qui in crescendo: perché ha deciso di smettere?
Ho dovuto creare il format in corsa, andando in onda. Renzo Arbore quando faceva «Quelli della notte» era già un gigante, sapeva bene cosa fare e come; io ho imparato sul campo, ho stirato il tempo e ci ho messo quattro anni. L'ultima edizione era come la sognavo: ciò che avevo in mente all'inizio.

Quanti le hanno detto «Ma come, un programma che va bene lo chiudi?»
Tanti. Ma la chiave non è mai il programma: è l'idea, il metodo. L'ho imparato guardando Renzo Arbore. Non era il programma a determinare il suo successo, era lui che ha saputo variare rimanendo ai massimi livelli. Il mio approccio è artigianale, senza l'urgenza della serialità. La specializzazione è nemica dell'arte, diceva Dalla. Noi possiamo sempre strappare la pagina e fare un disegno nuovo. Io non faccio niente in maniera eccelsa: voglio mettere insieme più cose e spiazzarmi continuamente. Un performer deve mantenere un margine di vulnerabilità, avere addosso l'argento vivo dell'esordiente, per non annoiarsi e non annoiare. Negli artisti cerco sempre quel fuoco, il bello è intravedere la fallibilità e la capacità di saltare l'ostacolo. Il limite va sempre spinto un po' oltre, arrivando a quella trance agonistica che possiamo chiamare cuore e che non si può simulare. È magìa.

Prossimo slancio?
Adesso porto in giro questo spettacolo in una dimensione teatrale, ma lo immagino anche in una tournée estiva all'aperto in luoghi come Taormina, Capri, Gaeta. Poi, ho voglia di scrivere qualcosa di nuovo per il teatro. La televisione mi spreme, fai tutto velocemente, mentre il teatro è un toccasana, mi piace l'idea di poter creare, cancellare, riscrivere, sistemare, mollare, riprendere. Quando torno alla tv mi sento arricchito di esperienza. E mi diverto più di prima.

Da napoletano, quanto si è divertito a presentare la festa-scudetto del Napoli allo stadio Maradona?
Infinitamente. Abbiamo coronato un vero rinascimento napoletano, nelle ultime partite preparavamo la festa e in tribuna ecco Paolo Sorrentino col suo sigaro, Silvio Orlando a recitare una sorta di Padre Nostro. Vedevi James Senese, come dire Pino Daniele; Enzo Avitabile, ancora Pino; Tullio De Piscopo, sempre Pino... Come fosse lì a suonare con noi. Non ho ancora metabolizzato quell'emozione, sono cresciuto nell'eco della Napoli anni '80 di Daniele e Troisi. Ora abbiamo Luisa Ranieri, Davide Petrella, i Nu Genea che sono bravissimi e dovevano essere alla festa, li volevo fortemente ma erano in Albania per un progetto e non c'era modo che tornassero in tempo. Volevo unire tutte le anime di Napoli. Un onore essere in quella foto, e fra vent'anni sarà ancora più bello dire «Io c'ero».

Suggerimenti