I migliori anni

Den Harrow: «Vengo dal mondo di George Michael e Prince: altro che Isola dei famosi! Gli ’80 restano il suono del futuro»

di GIAN PAOLO LAFFRANCHI
Divo da copertina Uno scatto d’epoca di Den Harrow (Stefano Zandri): è bresciano adottivo, avendo vissuto a BorgosatolloIl nome d’arte Den Harrow nacque dall’assonanza con Denaro
Divo da copertina Uno scatto d’epoca di Den Harrow (Stefano Zandri): è bresciano adottivo, avendo vissuto a BorgosatolloIl nome d’arte Den Harrow nacque dall’assonanza con Denaro
Divo da copertina Uno scatto d’epoca di Den Harrow (Stefano Zandri): è bresciano adottivo, avendo vissuto a BorgosatolloIl nome d’arte Den Harrow nacque dall’assonanza con Denaro
Divo da copertina Uno scatto d’epoca di Den Harrow (Stefano Zandri): è bresciano adottivo, avendo vissuto a BorgosatolloIl nome d’arte Den Harrow nacque dall’assonanza con Denaro

Metti una sera a cena, e sul palco, con Sandy Marton, Gazebo, Johnson Righeira, Ivana Spagna. Il 17 agosto a Ferrara, al Parco delle Colette: Den Harrow icona fra le icone degli scintillanti anni ’80. Lui famoso, eccome, già prima di approdare sull’Isola dei famosi (oggi non capita quasi più, andrebbe ribattezzata l’Isola di quelli che vorrebbero essere tali). Lui, al secolo Stefano Zandri e 20 milioni di dischi venduti. Lui che un tempo andava alle feste con Boy George e George Michael - ed erano davvero party sex and drugs and rock and roll. Lui che comprava la villa di Grace Jones a Ibiza e riceveva le avances di Prince in discoteca a Stoccolma: «Mi allungò un biglietto col numero della sua camera d’albergo, ci rimasi malissimo».

Che faceva tour con Europe e Spandau Ballet. Che cominciò ventenne aprendo un concerto dei Depeche Mode a Milano, al Palalido: «Ancora non mi conosceva nessuno, avevo un trucco assurdo da uomo tigre, le ragazze presero a urlare "figo! figo!", i ragazzi "culo! culo!" e mi tirarono lattine e bicchieri. Un inferno». Da lì al paradiso delle classifiche mondiali, con hit che poteva interpretare ma non cantare perché non glielo consentivano, perché «il progetto» lo voleva solo performer, il bel viso e le movenze seducenti in playback su brani incisi da altri. Un passato da residente bresciano (Borgosatollo), oggi Den Harrow ha messo radici a Malaga e canta come e quando vuole pezzi di storia dell’italodisco: «To meet me», «Mad desire», «Catch the fox», «Bad boy»... Successi mondiali che ha dimostrato di saper intonare, quando ne ha avuto la possibilità. Una delle tante rivincite del ragazzino che veniva bullizzato «perché dislessico e grasso. Fino a quando non mi sono arrabbiato, sono dimagrito 20 chili in un mese, mi sono messo a praticare arti marziali e dopo un anno ho picchiato tutti i bulli che mi avevano menato».

Se riavvolge il nastro, i migliori anni sono stati quelli della grande popolarità o quelli della recente rinascita sull’onda del revival?

Il periodo migliore per me è stato quando lavoravo al mio primo disco.

«To meet me».

Alla fine dell’82. Era tutto un gioco, senza rotture di scatole. Vivevo a Milano e bazzicavo corso Buenos Aires. Un giorno incrociai Gazebo, che era appena stato ospite di Pippo Baudo a Domenica In. Era già una star. Mi presentai, mi congratulai e gli dissi «Sentirai parlare di me». Dopo 2 anni andai in Baby Records e lui stava facendo il servizio militare: presi io il suo posto e quando tornò non c’era più spazio.

Adesso fate serate insieme. Ne avete mai riparlato?

Certo. Mi ha detto che era rimasto basito per la faccia tosta che avevo.

Cosa le rimane dell’Isola dei famosi?

Ho provato in tutti i modi a sganciarmi da quell’esperienza, ma per molti resto «quello che piangeva». E non mi capacito, perché poi sull’Isola hanno pianto tutti, anche Rocco Siffredi! Ma si ricordano solo le mie di lacrime. Posso almeno dire d’essere stato il primo. E nessuno ha pianto come me.

Ricorda il suo ritorno a casa dall’Honduras?

Abitavo a Borgosatollo allora e mi accolsero con festoni incredibili e lenzuoli alla finestra: «Forza Den, numero uno». Non capivo, avevo fatto una figuraccia in tv. Smaltito l’effetto, dopo un anno mi hanno attaccato: in Italia funziona così.

Com’è cambiato il suo mestiere nel tempo?

Oggi l’obiettivo non è diventare bravi facendo arte, è guadagnare velocemente. Stop. Ci sono giovani che riempiono gli stadi eppure sono ridicoli, non sanno far nulla.

Trionfi effimeri?

Non lo so. Di certo per fare la carriera di un Gianni Morandi serve ben altro. Questi giovani rampanti funzionano in Italia, non altrove. Prince, George Michael, Billy Idol: in quei casi sì che si può parlare di artisti.

Gente come Rick Astley?

Veniva considerato un cantanteche la batteria. Bravissimo, Rick Astley. Mica come quelli che adesso cantano solo con l’autotune: sarebbe uno strumento della trap, mica uno stratagemma per coprire stonature in serie.

Cosa sono gli anni ’80? Per citare Moroder, «the sound of the future»?

Assolutamente. A un ragazzino che mi scriveva su Messenger magnificando un pezzo contemporaneo ho detto «Pensa se fosse uscito lo stesso giorno di The Final Countdown: secondo te chi avrebbe vinto?». Valgono i contenuti. E la schiena dritta: in tv non mi chiamano - ma usano i miei pezzi per i loro servizi - perché ho mandato a quel paese tutti, da Amadeus e Conti ai dirigenti. Mi hanno invitato all’Arena Suzuki 2023, ho dettato le mie condizioni, vediamo. Io l’Arena l’ho già fatta, quando c’era Salvetti, e ho anche trionfato al Festivalbar. Ma per partecipare al Festival di Sanremo dovrei essere prima sdoganato da chi mi sta chiudendo la porta in faccia da tempo.

Chi non sopporta, fra le nuove leve?

Sfera Ebbasta. Imbarazzante. E non è mica trap la sua, non scherziamo.

Chi si salva, invece?

C’è un solo fuoriclasse, pieno di glamour, un George Michael italiano: Marco Mengoni. Ha voce, presenza, feeling, carisma. Tutto! Resisterà nel tempo.

Chi è Den Harrow oggi?

È un personaggio difficile, impegnativo da indossare. Ma è anche un uomo libero, di dire e di fare.

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