Berta, un orceano
sul tetto d’Europa
con l’Atletico

di Alberto Armanini
Andrea  Berta, primo da sinistra, alla presentazione del centravanti Nikola KalinicAndrea Berta (a destra) durante i festeggiamenti sul palco a Tallinn: sotto di lui Diego Simeone, allenatore dell’Atletico MadridBerta in compagnia di Tommaso Ghirardi ai tempi del Parma
Andrea Berta, primo da sinistra, alla presentazione del centravanti Nikola KalinicAndrea Berta (a destra) durante i festeggiamenti sul palco a Tallinn: sotto di lui Diego Simeone, allenatore dell’Atletico MadridBerta in compagnia di Tommaso Ghirardi ai tempi del Parma
Con Berta è... Atletico Brescia

La storia di lui che lascia il posto fisso in banca per avventurarsi nell’alta marea del calcio la conoscono anche i sassi, ormai. Coppe e campionati si vincono guardando avanti, mica con la nostalgia. E Andrea Berta da Orzinuovi, direttore sportivo dell’Atletico Madrid fresco supercampione d’Europa, nostalgico non lo è mai stato. È uno che non si volta a contemplare il passato. Guarda avanti, sempre. Anche quando le cose sembrano girare storte e il solito vecchio film in eurovisione pare destinato alla stessa sgangherata conclusione. LA SERA di Ferragosto, a Tallin, Estonia, l’orceano Berta ha visto i suoi colchoneros schiacciare i cuginastri con la camiseta blanca. Stavolta i materassai l’hanno spuntata per davvero, sono stati in grado di resistere fino in fondo e hanno vinto. Ai supplementari, per giunta. Non come nelle due precedenti finali di Champions sempre perse dopo l’extra-time con il Real. Tiè. Con CR7 «disarmato» a Torino. Sergio Ramos finalmente inefficace e Diego Costa di nuovo leone affamato e non più agnello impaurito, l’Atletico ha stravinto: 4-2 dopo essere stato sotto 2-1. Il fatto che la zampata più importante, quella del 2-2, l’abbia firmata proprio il centravanti brasiliano naturalizzato spagnolo è il manifesto della gestione di Andrea Berta. Lo stesso Andrea Berta per cui «non serve il giocatore migliore, ma il giocatore giusto». Quello che ti può dare qualcosa in più a tutti i livelli. Spogliatoio, campo... bilancio, perché no. In fin dei conti i calciatori sono soprattutto affari e valori per i club che ne possiedono i cartellini. Lo sa bene lui, il direttore venuto da Orzinuovi, che gli affari ha imparato a farli per i tornei notturni della bassa bresciana e per il Carpenedolo, dall’Eccellenza alle soglie della Serie C1 con Tommaso Ghirardi. Quindi a Parma, sempre con Ghirardi fino all’avvento di Pietro Leonardi, poi al Genoa. E ora a Madrid, sponda biancorossa, grazie all’intercessione di una superpatròn come Jorge Mendes, che converte in oro tutto ciò che tocca. MA BERTA, che lungo la sua storia calcistica di amicizie fortunate ne ha avute molte, ha dimostrato di saper camminare con le proprie gambe. Oblak, Griezmann, Jimenez. Tutti suoi «cavalli». Tutte scommesse vinte ampiamente. Naturale, poi, che sia arrivata la simbiosi con il Cholo Simeone. E si diceva di Diego Costa, impacchettato nel 2014, un anno dopo essere arrivato all’Atletico come direttore tecnico, insieme a Filipe Luis. In quel momento era giusto così. Il beneficio immediato sul bilancio permise ai colchoneros di alzare l’asticella e poter lottare sempre per vincere. L’astuzia nella cessione è pari solo alla bravura nell’andarselo a riprendere, Costa. Sempre al momento giusto, con i Mondiali all’orizzonte, quindi con un posto fisso da conquistare. Un acquisto per vincere un’Europa League, una Supercoppa e, chissà, da oggi iniziare a puntare la finale di Champions in casa del prossimo primo giugno. Da uno che porta nel cuore il colpo Manuel Pascali, preso a zero per il Carpe nel 2005 e poi venduto in Scozia, certo non ti aspetti il colpo Lemar a 70 milioni. Ma Berta è così. Prende oggi per programmare il domani. E se poi ci scappano anche le vittorie ben venga la spesa. Schivo e riservato verso l’esterno, puntiglioso e perfezionista sul lavoro, ciclicamente viene corteggiato. Ma la risposta è sempre no. Non ora che ha iniziato a vincere. •

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