«Io, l’Alfa Romeo e la F1: una vita a tutta velocità»

Bruno Giacomelli alla guida dell’Alfa Romeo F/179 nel 1980:  il pilota originario di Poncarale è stato un simbolo della scuderia milanese
Bruno Giacomelli alla guida dell’Alfa Romeo F/179 nel 1980: il pilota originario di Poncarale è stato un simbolo della scuderia milanese
Bruno Giacomelli alla guida dell’Alfa Romeo F/179 nel 1980:  il pilota originario di Poncarale è stato un simbolo della scuderia milanese
Bruno Giacomelli alla guida dell’Alfa Romeo F/179 nel 1980: il pilota originario di Poncarale è stato un simbolo della scuderia milanese

Domenica 11 settembre 1977, Autodromo Nazionale di Monza. Le lancette dell'orologio stanno per toccare le 14. Le vetture di Formula 1 sono pronte per il via della 14esima gara della stagione . In pole c'è Niki Lauda pronto, al termine del Gran Premio, a laurearsi per la seconda volta in carriera campione del mondo. E dalla 14esima casella parte un 25enne debuttante: è Bruno Giacomelli. La favola e la carriera di un giovane e spensierato amante dei motori inizia così legando indissolubilmente la propria fama a quella dell'Alfa Romeo. A distanza di oltre 30 anni la casa del biscione torna nella massima espressione del motorsport grazie alla partnership raggiunta con la Sauber: un rientro in grande stile vissuto con passione da Bruno Giacomelli: «L'Alfa Romeo occupa una buona fetta del mio cuore, fa parte della mia vita e dei miei ricordi. Sono contento del suo ritorno nel circus della Formula 1 anche se, differentemente da quando ebbi l'onore di correre con questo marchio, si tratta di una partership e non di un ingresso come costruttore». Fiero del record dei 49 Gp corsi con l’Alfa Romeo? «Sono stato io nel 1979 a riportare dopo 27 anni l'Alfa Romeo nel campionato del mondo di Formula 1. Insieme abbiamo sviluppato i progetti delle 177, 179 e 182: vetture indimenticabili. Peccato non essere mai riuscito ad ottenere una vittoria per entrare nella leggenda». Che ricordo ha delle stagioni vissute da pilota ufficiale? In molti dicono erroneamente quattro stagioni in realtà quelle piene sono state solamente tre: 1980, 1981, 1982. Nel 1979 abbiamo fatto solo 5 gran premi ma ricordo come se fosse ieri l'esordio a Zolder in Belgio. E il ricordo più bello è la pole ottenuta all'ultima gara del 1980. Era il Gran Premio degli Stati Uniti-Est corso sul difficilissimo circuito di Watkins Glen, vicino alle cascate del Niagara. La F1 correva per l'ultima volta su quel circuito. Fu per me un weekend fantastico: pole position il venerdì replicata al sabato nelle qualifiche. In gara rimasi 32 giri in testa con 12 secondi di vantaggio sul secondo ma fui beffato da un guasto elettrico». E quello più doloroso? «Non potrò mai dimenticare l'1 agosto del 1980 quando, durante le prove private a Hockenheim in preparazione al Gran Premio di Germania, morì il mio amico e compagno di squadra Patrick Depailler. Quel giorno eravamo soli sul circuito, l'atmosfera era ideale. Poco prima dell'incidente, su espressa richiesta di Patrick, avevo testato per 2 giri la sua vettura. Lui mi aspettava ai box fumando la sua immancabile Gauloise senza filtro. La spense, salì in macchina e fece un primo giro sfrecciandomi davanti. Non vedendolo più transitare ma osservando la concitazione ai box capì che qualcosa era accaduto. Con una macchina di servizio raggiunsi il luogo dell'incidente: fu una vera tragedia». A proposito di incidenti: che rapportò ha avuto in carriera con il rischio? «Si deve partire dal presupposto che il pilota non è una persona comune. Alla base c'è la grande passione e soprattutto una certa dose d'incoscienza. Non è solo coraggio: ci vuole predisposizione. In Germania decisi di correre per onorare la memoria di Depailler, arrivai 5°. Non nascondo che al ritorno in Italia, dopo il test ad Hockenheim, avevo pensato anche di smettere». Las Vegas 1981: cosa le viene in mene? «Il terzo posto con un giro recuperato sul primo in classifica. Fu un periodo di grandi soddisfazioni in conseguenza dei miglioramenti apportati alla vettura». In Formula 1 si parla di lei come di un ottimo pilota ma anche un brillante collaudatore. «Allora non esistevano i computer. Le vetture nascevano su un piano di riscontro: la macchina ti veniva cucita addosso come un vestito. In F2 in Inghilterra disegnai anche dei particolari che mi permisero di dominare e vincere il campionato europeo. Si può dire che l'Alfa Romeo 179 fu anche una mia creatura». In quale dei piloti attuali riesce a rivedersi? «Non li conosco abbastanza per poterli giudicare. Mi piace molto Kimi Raikkonen, apprezzo l'atteggiamento che ha dentro e fuori la pista. Gli ultimi mondiali sono stati un affare tra Hamilton e Vettel: chi per lei il migliore? «Non esistono piloti migliori ma grandi tecnici in grado di costruire macchine migliori. Nel nostro sport è il mezzo meccanico può fare la differenza. L'avvento degli americani al vertice della Formula 1 spero porti qualche cambiamento». A propostito di Ferrari: è vero che nel 1976 ricevette una promessa da parte di Enzo Ferrari per correre in F1? Successe tutto a Montecarlo. Dominai il gran premio in Formula 3. Era rimasto entusuasta delle mie prestazioni e voleva offrirmi una delle sue macchine. Due amici personali di Enzo Ferrari si misero in contatto con me per incontrarlo. Lo trovai a tavola il lunedì dopo la gara, ma non mantenne la promessa». Che ricordo ha del Drake? «Al nostro incontro mi regalò un portafoglio e un libro che custodisco ancora oggi con estrema cura. Mangiai con lui prosciutto crudo, formaggio di grana bevendo lambrusco. Dopo aver parlato a lungo con i suoi uomini si rivolse a me elogiandomi. Disse di aver visto la mia gara in televisione. Terminato di mangiare arrivò un collaudatore della Ferrari a premdermi per riportarmi a casa. Guidava una 308 rossa fiammante: mi portò a Roncadelle. Arrivai al bar dove gli amici mi stavano aspettando per festeggiarmi. Era il 1976». In carriera lei ha corso con piloti che, grazie alle loro gesta, hanno raggiunto l'immortalità: Gilles Villeneuve, James Hunt e Ronny Peterson. Che ricordo ha di ognuno di loro?. «Hunt fu mio compagno di squadra. Peterson l'ho conosciuto alla March. Io ero in Formula 3 e lui in Formula 1. Villeneuve lo frequentavo anche fuori dalla pista. Insieme siamo andati al mare, spesso a casa sua e qualche volta in elicottero. Il mattino che morì feci colazione con lui. Il pilota con il quale ho avuto un rapporto più stretto è stato però Andrea De Cesaris». Ora le manca l'adrenalina della pista? «La velocità non mi manca. Mi manca avere trent'anni per rivivere le sfide e guidare la vettura come intendo io. Non mi sono mai divertito a correre però mi piaceva da morire». 25 marzo 2018, Melburne in Australia: primo gran premio della stagione a segnare il definitivo ritorno dell'Alfa Romeo in Formula 1. Cosa farà Bruno Giacomelli? «La guarderò certamente con un certo interesse». E a Monza il 2 settembre sarà in pista? «Spero di esserci. Ciò che più mi appartiene, al di là della presenza fisica, è far parte della storia dell'Alfa Romeo».

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