l'intervista

L'ex pilota Giacomelli a 30 anni dalla morte di Senna: «Debuttò con la mia Toleman: è stato un onore»

di Vincenzo Corbetta
Era il 1° maggio del 1994, al 7° giro del Gran Premio di San Marino sul circuito di Imola, la sua Williams si schiantò alla Curva del Tamburello: il pilota brasiliano morì poche ore dopo in ospedale. Aveva solo 34 anni

Oggi sono 30 anni dalla morte di Ayrton Senna. Il 1° maggio 1994, al 7° giro del Gran Premio di San Marino sul circuito di Imola, la sua Williams si schianta alla Curva del Tamburello: sono le 14.17. Il pilota brasiliano non riprende più conoscenza e muore alle 18.40 all’ospedale di Bologna a soli 34 anni.

Quel giorno il bresciano Bruno Giacomelli, 71 anni, suo compagno di scuderia alla Toleman nel 1983, è davanti alla televisione.

Giacomelli, cosa ricorda di quel 1° maggio di 30 anni fa?
Quando è uscito di strada, ho detto subito: è morto.

Sa cosa si racconta delle cause del decesso?
Sì, se non gli fosse entrato nel casco un pezzo di sospensione non sarebbe morto. Ma conoscendo bene la Curva del Tamburello, dove si va veramente forte, ho pensato subito che non c’era più nulla da fare: si è schiantato con un angolo di quasi 90 gradi contro il cemento.

Anche lei ha rischiato la vita in corsa.
Sono sopravvissuto a un incidente che quello di Senna non era niente al confronto.

Racconti.
Accadde a Zeltweg, in Austria, nell’86 durante le Interserie. A 320 all’ora mi scoppiò la gomma posteriore, con la mia Lancia LC2 di Mussato feci 400 metri a ruzzoloni. Auto disintegrata, casco spezzato in due. Vengo intubato, però sono sopravvissuto. E vi assicuro che al confronto l’incidente di Senna a Imola sembrava nulla. Destino.

Tornando a quella gara maledetta, il giorno prima un incidente in prova costò la vita all’austriaco Roland Ratzenberger al volante della Simtek.
Ratzenberger è morto alla Tosa, nello stesso punto dell’incidente di Gilles Villeneuve nell’80. Ricordo bene: stavo a 15 metri dalla sua Ferrari, gli scoppiò la gomma posteriore, si schiantò contro il muro a tutta velocità ma non si fece niente.

Nel 1990 Senna la voleva alla McLaren come collaudatore. Invece lei scelse di tornare in F1 alla Life. Perché?
Avevo avuto un colloquio con Ron Dennis grazie alla conoscenza con Tim Wright, l’ingegnere che avevo avuto io alla McLaren nel ’78 quando conquistai l’Europeo di Formula 2 vincendo 8 gare su 12. Mi dissero che Senna caldeggiò il mio arrivo.

Invece rifiutò
Sarebbe stato fantastico lavorare di nuovo con Ayrton, ma ero un pilota. E collaudavo volentieri solo le auto che poi avrei guidato io.

Eppure non sarebbe stata la prima volta.
Alla Leyton House nel ’90, quando c’era come direttore tecnico Adrian Newey, l’attuale dt della Red Bull pluricampione del mondo, mi ero occupato dello sviluppo delle sospensioni attive. Lo consideravo un lavoro più adatto a me. Ho sviluppato un sistema nuovo. Accettai di fare il pilota per la Life solo perché il progetto era di Gianfranco Rocchi, padre del motore boxer con cui la Ferrari vinse tutto con Lauda e con i prototipi. Fu un fallimento totale, ma non mi sono mai pentito della scelta.

Sul serio?
Newey andò alla Williams e con Mansell vinse l’unico Mondiale di una vettura con le sospensioni attive. E la base di quella rivoluzione la gettai io alla Leyton House: ne sono orgoglioso.

Ricordi di Senna?
Lo vidi per la prima volta nell’83 in Inghilterra, a Brands Hatch. Correvo in Toleman e Senna andò a parlare con il mio team principal Alex Hockridge. Ayrton debuttò in Formula con la mia TG183B. E fu vittima, se così si può dire, di una mia mania.

Cioé?
Disegnavo i volanti, li facevo nella mia forma preferita e ci facevo incidere sopra il mio nome, Bruno. A Senna piacque talmente che lo tenne sia sulla TG183B che sulla TG184, con cui debuttò nell’84 a Monaco, in quella magnifica gara interrotta per la pioggia, in cui Ayrton era 2°. Mi è capitato di vedere quella Toleman in qualche esposizione. C’è ancora il mio volante, solo che il nome Bruno è coperto con il nastro adesivo nero.

Pregi e difetti di Senna?
Era una grande persona, un super pilota. Mi salutava sempre, mi stimava. Difetti? Era troppo mistico. Quando morì Ratzenberger a Imola, andò sul luogo dell’incidente anche se le regole lo proibivano.

Lei non lo avrebbe fatto?
No, ho visto morire il mio compagno di squadra.

Il francese Patrick Depailler, deceduto il 1° agosto 1980 a Hockenheim, in Germania, durante le prove private della vostra Alfa Romeo. Come andò?
Depailler fece qualche giro con la sua auto, io ero al box aspettando che venisse pronta la mia. Patrick si fermò, venne da me e mi chiese di fare 2 giri con la sua auto perché gli sembrò di avere sentito qualcosa di strano nel retrotreno. Salì, partii per 2 giri senza tirare più di tanto. Nel frattempo venne pronta la mia auto e riconsegnai a Depailler la sua.

Cosa gli disse?
Patrick, io non ho sentito niente di strano. Però non andare al massimo, stai attento. Sono state le ultime parole che gli ho rivolto. Depailler ripartì. Passò ancora una volta davanti ai box, poi basta. Uscì a folle velocità in un punto dove avevano tolto le reti di protezioni per dei lavori. Che tragedia!

Un pensiero finale su Senna?
Un grandissimo: per i risultati, per la persona, per tutto

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