«Quinzano, la nostra impresa fu incredibile»

di Alberto Armanini
Dirigenti, tecnici e giocatori del Quinzano che nel 1992 conquistarono la Coppa Italia dilettanti dopo una fantastica galoppata
Dirigenti, tecnici e giocatori del Quinzano che nel 1992 conquistarono la Coppa Italia dilettanti dopo una fantastica galoppata
Dirigenti, tecnici e giocatori del Quinzano che nel 1992 conquistarono la Coppa Italia dilettanti dopo una fantastica galoppata
Dirigenti, tecnici e giocatori del Quinzano che nel 1992 conquistarono la Coppa Italia dilettanti dopo una fantastica galoppata

Fu una Istanbul ante litteram. Quattordici giugno 1992, 25 anni fa, 13 anni prima di Milan-Liverpool 3-3. Fu una partita in tremendo anticipo sui tempi di un certo calcio professionistico. Era la finale di Coppa Italia dilettanti. Da una parte il Quinzano di Enrico Gheda, titolo di Eccellenza in tasca dopo 18 partite e gli scalpi di Melfi, Livorno e Maceratese in saccoccia. Dall’altra la Torres, schiacciasassi d’Interregionale, già promossa in C2 e strafavorita.

Dopo 10 minuti del secondo tempo è 2-0 per i sardi: Quinzano non pervenuto. Poi la svolta. Luca Boninsegna accorcia le distanze al 60’ e fa 2-2 a 3 minuti dallo stop. Al 90’ il gol del tripudio di Antonio Corbellini: Quinzano campione.

Gli eroi di quell’anno, di quella cavalcata e di quella notte si sono ritrovati ieri per celebrare il 25° anniversario del trionfo. L’occasione è stata la presentazione del libro «Regine di Provincia», una rassegna di 50 anni di Coppa Italia dilettanti scritta da Girolamo Bonavita e Carlo Fontanelli. In sala c’erano (quasi) tutti. Il presidente Attilio Arrigoni, Gheda, Eraldo Gnocchi, capitano di quella meravigliosa squadra, il suo vice Mauro Schivardi, l’astro nascente Mauro Bertoni, il bomber Emanuele Cedoni, tutti gli altri. Osvaldo Olivari, il compianto direttore sportivo, è stato ricordato con un commosso applauso.

LA FINALE si giocò a Palazzo San Gervasio, provincia di Potenza. Non si pensi al Bernabeu. E nemmeno a uno stadio. «Erba e spogliatoi erano bellissimi ma le tribune non c’erano: le ricavarono dal rimorchio di un camion - ricordano gli eroi di quella notte -. Forse pagammo un po’ di adattamento a quel clima e la nostra partita iniziò male».

Le cronache del tempo raccontano di «landa desolata, erba bruciata, cave abbandonate e rottami d’auto sparsi ovunque». Arrivare e alloggiare fu un’impresa al pari della vittoria sul campo. E durante la gara accadde l’impensabile. Mario Coppi, il portiere, giocò metà partita senza memoria dopo aver preso un colpo in testa. Chiedeva il risultato, non ricordava nulla ma restò in piedi fino alla fine e fu decisivo insieme ai compagni per vincere la coppa. «Fu l’ultimo anno in cui il successo non garantiva il passaggio di categoria - ricorda Enrico Gheda -. Vincemmo dopo aver fatto qualcosa di unico. Il mio Quinzano praticava un gioco moderno, erano i primordi della zona, scendevamo in campo con un 4-3-1-2». La cavalcata finì con 19 partite, 51 gol segnati e solo 14 subiti. E Cedoni chiuse con 37 centri tra campionato e coppa.

Il più felice di tutti? Il presidente Arrigoni: «Nessuna squadra era forte come la nostra - ha detto con la voce rotta dall’emozione -. Abbiamo unito tante persone e lasciato un segno nella memoria del nostro paese». E di tutto il calcio bresciano, rappresentato in sala da Alberto Pasquali, ex portiere del Quinzano e oggi presidente della Delegazione bresciana della Lega Dilettanti. Sullo schermo della sala consiliare, aperta, anzi spalancata dal sindaco Andrea Soregaroli, le immagini storiche della società, i filmati della finale di Eccellenza con la Maceratese e i ritagli dei giornali che celebrarono il titolo nazionale: «Speriamo - chiude l’ex presidente - che torni anche quel nome glorioso: Us Quinzano».

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