Intervista

I 60 anni di Stefano Bonometti

di Vincenzo Corbetta
Il primatista di presenze nel Brescia (421) oggi è responsabile del settore giovanile del Prevalle

Al traguardo dei 60 anni Stefano Bonometti si definisce «un uomo che ha vissuto intensamente ogni età della vita. E ora mi godo questa, soddisfatto di quel che ho fatto e costruito. E poi c'è il calcio, che mi ha dato e mi sta dando ancora tanto». Il primatista di presenze nel Brescia (421) oggi è responsabile del settore giovanile del Prevalle. E fa specie vederlo da anni staccato dalla casa madre biancazzurra.

Bonometti, come è iniziata?
Non avevo in mente di fare il calciatore. Giocavo all'oratorio delle Fornaci, insieme agli amici. Abitavo in via Fosse. Si usciva da scuola e si stava in campo dall'una alle 5. Una scuola di vita oltre che di calcio.

Davvero è arrivato al pallone per caso?
Un giorno, avevo 11 anni, stavo palleggiando in strada con un amico e passa di lì suo zio che era al Castelmella e ci chiede di venire in squadra. Per un anno l'ho tenuto nascosto ai miei genitori. Prendevo la bicicletta, attraversavo i campi per non farmi vedere da nessuno, passavo il ponte sul Mella e mi allenavo. Allora per quelli della mia età non c'erano i campionati.

Come lo scoprirono i suoi?
L'anno dopo i dirigenti del Castelmella vennero a casa mia perché volevano inserirmi in pianta stabile nella formazione che avrebbe disputato il campionato. Saltò fuori che mi allenavo con loro già da un anno.

E con il Brescia?
Feci il provino dopo aver vinto il Trofeo Bresciaoggi con il Castelmella. Giocammo la finale al Rigamonti contro la Leonessa di Dario Bonetti prima di un Brescia-Atalanta di campionato. Poi andai a Sant'Eufemia, sui campi della Cavalerizza. Con me c'erano Festa, Mario Salomoni, Lamberti, Danilo Paghera, il papà di Fabrizio che ha giocato nel Brescia.

Il ruolo?
Terzino sinistro, alla Facchetti. Mi piaceva spingere. Durante il provino cambiai 2-3 ruoli. Mi presero: avevo 14 anni. Ma ero tranquillissimo.

Quale allenatore la spostò definitivamente a centrocampo?
Dino Busi, che ho avuto negli allievi. Mi ricordo cosa disse negli spogliatoi in un torneo a Modena: date la palla a Bonometti, che sa giocare sia corto che lungo. In pratica facevo il regista.

I piedi c'erano, eppure per anni i bresciani l'hanno considerata uno scarpone. Per fortuna, su Bresciaoggi, aveva un difensore d'eccezione: Giorgio Sbaraini.
Grande Jos, come dimenticarlo? In me vedeva i valori della brescianità, un ragazzo che giocava a calcio con passione, impegno e tenacia tipici della nostra terra. Da noi, invece, si è sempre stati propensi ad esaltare chi veniva da fuori.

Mai pensato di andare via?
Estate del 1980, noi appena promossi in A. Ero militare. Sono al Rigamonti e mi chiama Gianni il magazziniere. Mi dice: al telefono per te c'è Ottavio Bianchi.

Ottavio Bianchi?
Proprio lui. Allenava l'Atalanta in Serie C. Mi voleva a tutti i costi come perno del centrocampo della squadra che poi dominò il campionato. Gli risposi che preferivo giocarmi le mie possibilità in Serie A, nel Brescia.

Mai pentito di quel no?
Pentito no, però...

Però?
Ho pensato spesso che, se avessi detto di sì a Bianchi, forse mi avrebbe portato con sé a Napoli, avrei vinto lo scudetto e giocato con Maradona, che invece ho affrontato solo da avversario.

Brescia-Napoli 0-1, prima giornata della Serie A '86-87, prodezza del Pibe.
Ci fosse stato il Var, quel gol sarebbe stato annullato per un tocco di mano. L'unica volta che mi è sfuggito in 90 minuti. Ma che giocatore! E che uomo: mai sentito lamentarsi o rimproverare né un compagno né un avversario. Unico davvero.

Altri rimpianti?
Non aver disputato lo spareggio-salvezza a Bologna contro l'Udinese per squalifica. La settimana prima, contro la Sampdoria, fui costretto a fermare Mancini, l'attuale ct azzurro, lanciato a rete e fui espulso. Dopo lo spareggio, nello spogliatoio, eravamo tristissimi. Lucescu venne accanto a me e disse a tutti: con Stefano in campo non avremmo perso e saremmo ancora in Serie A.

Lucescu è il miglior allenatore che ha avuto?
Senza dubbio. Purtroppo l'ho incontrato solo a 30 anni. L'avessi avuto a 20, garantito che avrei giocato in Nazionale con quel che mi ha insegnato. Ma ricordo anche l'acume tattico e lo spessore umano di Simoni e Pasinato. Ecco: un mix di Simoni, Pasinato e Lucescu formerebbe l'allenatore perfetto.

E tra i compagni di squadra? Una formazione ideale?
Facciamo una rosa: portieri Aliboni e Malgioglio; difensori Podavini, Carnasciali, Venturi, Chiodini, Dario Bonetti, Galparoli, Gentilini e Rossi; centrocampisti Sabau, Mossini, Turchetta sugli esterni, il sottoscritto, Domini e Zoratto in mezzo, con Hagi e Pasquale Iachini uomini di fantasia. Davanti nessun dubbio: Gritti e Ganz, una coppia formidabile.

Si è parlato di tecnici e giocatori. E il presidente ideale?
Sergio Saleri, di sicuro: competente e umano. E dico anche Corioni, nonostante ci sia rimasto male quando mi tolse senza motivo la Primavera per darla a De Paola.

E il Brescia di oggi?
Cellino è un competente, la squadra è buona ma non ha continuità. E se non vinci in casa, non vai in Serie A. . © RIPRODUZIONE RISERVATA

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