Vicenza/Mantova

Rapina con due morti: ergastolo per cinque giostrai, ma vengono assolti dopo quasi trent’anni

di Karl Zilliken
L'assalto costato la vita al gioielliere Gabriele Mora avvenne nel 1996 a Suzzara, nel Mantovano. La decisione della Corte d’appello dopo il processo bis: quattro degli imputati risiedono a Vicenza.

La corte d’appello di Milano ha assolto Adriano Dori, 49 anni, Danilo Dori, 59, Stefano Dori, 52, e Giancarlo Dori, 57, tutti domiciliati a Vicenza, e Gionata Floriani, 45, padovano, accusati di aver ucciso Gabriele Mora, titolare di una gioielleria di Suzzara, nel Mantovano, il 19 dicembre del 1996.

La Cassazione e il processo bis

All’inizio dello scorso novembre, la Cassazione aveva annullato la sentenza della Corte d’assise d’appello di Brescia, che un anno fa aveva condannato all’ergastolo i presunti responsabili del fatto di sangue. I giudici della Suprema corte avevano inoltre deciso che venisse celebrato un nuovo processo di secondo grado, a Milano. Ieri, dopo la prima udienza, la decisione è arrivata dopo due ore di camera di consiglio: i giudici hanno riabilitato in toto la sentenza di assoluzione «per non aver commesso il fatto e per la contraddittorietà delle prove» che era stata formulata dal tribunale di Mantova. 

La rapina finita in tragedia

Quel tragico pomeriggio del 19 dicembre di 27 anni fa, un gruppo di rapinatori assaltò la gioielleria di Mora, orafo di 44 anni, nel paese lombardo. Cercando di difendere la moglie dai colpi di arma da fuoco esplosi dal commando armato, il titolare corse in negozio dal laboratorio e fece fuoco a sua volta colpendo Rudy Casagrande, 25 anni, uno dei componenti della banda. I complici di quest’ultimo reagirono e spararono diversi colpi a Mora, che morì poco dopo accanto alla moglie. La banda fuggì senza alcun bottino ma con un morto sulla coscienza.

L’auto utilizzata per la tentata rapina fu incendiata a Caldogno
L’auto utilizzata per la tentata rapina fu incendiata a Caldogno

La ricostruzione permise di capire che i banditi scapparono a bordo di una Volvo: prima in direzione di Pegognaga, poi lungo l'autostrada del Brennero, la Serenissima e quindi la Valdastico. Casagrande venne spogliato di tutti gli oggetti che potevano permettere alle forze dell’ordine di identificarlo e scaricato senza vita davanti all’ospedale di Thiene. L’auto, che era stata rubata nel Padovano, venne ritrovata bruciata nel cortile di un’abitazione in costruzione a Caldogno. 

Le indagini e la riapertura del caso

Allora le indagini si concentrarono sull’ambiente dei giostrai veneti. Qualche tempo dopo finì in manette un nomade padovano, ma poi emerse la sua estraneità alla vicenda. Più tardi, un’operazione congiunta dei carabinieri di Venezia, Mantova, Padova, Verona e Vicenza portò all’arresto di altri 12 giostrai sospettati di numerose rapine, anche nel Mantovano. Pure loro, però, non c'entravano nulla.

La rapina rimase un caso irrisolto finché nel 2017 le rivelazioni di un presunto pentito, Patrick Dori, e le intercettazioni telefoniche portarono all’identificazione dei cinque giostrai che vennero iscritti sul registro degli indagati per avere fatto parte del commando mortale. All'inizio del 2018, però, i tribunali di Mantova e di Brescia rigettarono la richiesta di arrestare i presunti componenti della banda. I giudici ritenevano che non esistessero le condizioni per firmare un’ordinanza di arresto «difettando l'attualità e la concretezza del pericolo stesso». In sostanza, per i giudici Floriani e i Dori non potevano né inquinare le prove né reiterare il reato. Nemmeno la Cassazione diede parere favorevole.

Una lunga vicenda giudiziaria

Adriano Dori, Danilo Dori, Stefano Dori, Giancarlo Dori e Gionata Floriani, difesi dagli avvocati Andrea Frank, Marco Napolitano, Marco Borella e Venera Bottino, finirono a processo davanti alla Corte d’assise di Mantova. Nel settembre del 2019 il pubblico ministero Giulio Tamburini chiese che i cinque imputati venissero condannati all’ergastolo. La sentenza di primo grado, però, fu di assoluzione «per non aver commesso il fatto e per la contraddittorietà delle prove». Due anni dopo, invece, la Corte d’assise d’appello di Brescia ribaltò completamente la sentenza, condannando i 5 imputati all’ergastolo. Una volta lette le motivazioni, le difese presentarono ricorso in Cassazione: come richiesto dalla procura generale, i giudici hanno annullato la sentenza di secondo grado, ordinando un nuovo processo d’appello che ha riabilitato i cinque.

La difesa: «Fatta giustizia»

«Finalmente abbiamo reso giustizia a delle persone che non c’entravano nulla e non c’entrano nulla con questo gravissimo fatto gravissimo - il commento dell’avvocato Andrea Frank - E il processo di Brescia è stato qualcosa di molto vicino allo scandaloso. Queste persone, al di là di chi sono e di quello che fanno nella vita, hanno sofferto molto». 

Suggerimenti