un anno dal disastro

Alessandra, sopravvissuta alla Marmolada: «Viva e miracolata, ma sono stata dimenticata»

di Rubina Tognazzi
Alessandra De Camilli, 52 anni di Schio, è sopravvissuta al tragico incidente ma ha perso il compagno Tommaso Carollo che era con lei. Con l'archiviazione del caso non avrà risarcimenti e inoltre si è vista recapitare il ticket per il trasporto in elicottero da Canazei a Trento
Alessandra De Camili ieri è tornata sulla Marmolada a un anno dalla tragedia (FOTO INSTAGRAM)
Alessandra De Camili ieri è tornata sulla Marmolada a un anno dalla tragedia (FOTO INSTAGRAM)
Alessandra De Camili ieri è tornata sulla Marmolada a un anno dalla tragedia (FOTO INSTAGRAM)
Alessandra De Camili ieri è tornata sulla Marmolada a un anno dalla tragedia (FOTO INSTAGRAM)

Undici vittime, cinque sopravvissuti, un dolore immenso che ancora si fa sentire e brucia sulle ferite di chi ce l’ha fatta. Alessandra De Camilli, 52 anni di Schio (Vicenza), è una sopravvissuta, ma in quella tragedia ha perso il compagno, Tommaso Carollo di Thiene. Alessandra ieri, 2 luglio, era presente alla messa che è stata celebrata ai piedi della Marmolada al rifugio Castiglioni (teletrasmessa per chi non potrà salire in quota), per ricordare il dramma consumatosi il 3 luglio del 2022.

Come si sente a distanza di un anno?
«È ancora dura. Le difficoltà fisiche sono tante ed alcune rimarranno permanenti. Un percorso ospedaliero impegnativo con cicatrici evidenti e una vita cambiata. La cosa che più mi infastidisce è che tutti pensano che abbiamo ricevuto un risarcimento. Ma in realtà con l’archiviazione per disastro colposo dei giorni scorsi, la Regione non riconosce nulla, né alle vittime né ai sopravvissuti. E la cosa che fa star male è che sono spariti tutti. Dopo una tragedia e uno shock del genere, tante parole sui giornali ma fatti pochi, anche dal mio Comune (Schio), a cui mi sono rivolta per evidenti problemi di mobilità al mio rientro, non ho mai più avuto risposte. Regione e associazione della montagna dileguati. Il Cai a cui ero iscritta con una polizza di assicurazione non ha coperto nulla per la tipologia di evento perché avrei dovuto fare una polizza più completa. Mi sono ritrovata sola».

Un anno difficile sotto molti aspetti quindi...
«Il mio percorso, fisico e psicologico, è stato lungo e non è ancora terminato. Dopo 25 giorni di ospedale sono tornata a casa, ma le difficoltà si sono fatte sentire fin da subito perché vivo sola, dovevo salire le scale e non ero autonoma. Ho avuto la fortuna di avere i miei genitori che nonostante l’età hanno avuto la lucidità e la forza di aiutarmi. Oltre che amici ed amiche che si sono fatti in quattro per sostenermi».

E con i medici? 
«Non ringrazierò mai abbastanza il dottore che mi ha operata a Trento e che tuttora mi segue, parlo di Damiano Papadia, ma anche il primario di fisioterapia di Santorso la dottoressa Francesca Rossetto». 

Il ritorno al lavoro? 
«Io ho una partita Iva e quindi non ho avuto più entrate dal momento dell’incidente e appena ho avuto un po’ di autonomia con le stampelle, dopo circa 3 mesi, ho ripreso l’attività anche se parzialmente. Ma da un lato devi curarti e da un lato devi lavorare. Non è stato semplice». 

Non si sente fortunata solo per il fatto di essere sopravvissuta?
«Si, certo, però confesso che nei primi mesi è stato difficile accettare la situazione, continuavo a vivere nel passato. Mi sentivo diversa in tutto. Gli ultimi momenti belli e felici erano quelli prima del disastro, perché poi erano solo ospedale, sedia a rotelle non potevo lavorare, non vedevo più nessuno. Poi, però, ho realizzato che la vita è un dono e quelle 11 persone morte avrebbero voluto essere tutte al mio posto. E ho cominciato a reagire perché non potevo continuare a sprecare la vita piangendomi addosso. Ho ricominciato a fare quello che facevo prima, ovviamente nei limiti delle mie condizioni. Sono tornata in montagna convivendo con un limite fisico e con un dolore interiore veramente grande».

Come è andata la prima uscita in montagna?
«Sono andata ai piedi di Campogrosso. La parte più difficile è stata ritirare fuori le cose della montagna che non avevo più considerato. Gli scarponi, lo zaino, l’attrezzatura che non toccavo più e non avevo più voluto vedere. È stato più difficile prepararmi perché la montagna era un posto dove comunque volevo tornare.. Ho deciso di andare alla messa che è stata trasmessa da Punta Penia al rifugio Castiglioni, grazie alla televisione. Ammetto che avevo un po’ di paura al pensiero di tornare. Le ultime immagini che ho davanti agli occhi sono quelle della frana che travolgeva me e Tommaso». 

E poi il volo in elicottero, viva...
«Lì ero sconvolta, non mi rendevo conto di quello che era accaduto e stava succedendo. Quando ti trovi coinvolta in una tragedia di quelle dimensioni lo shock è troppo grande. Ma quell’elicottero poi me lo hanno fatto ricordare. Dopo cinque mesi dall’incidente ho ricevuto a casa la richiesta di pagamento del ticket per il trasporto da Canazei, dove la protezione civile ci aveva portati tutti, vivi e morti, a Trento. Trentasei euro. Non è per la cifra, sia chiaro, è il principio. Siamo stati coinvolti in una tragedia immane ed è come se ci fossimo fatti male per una scivolata». 

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