Brescia insolita

Bagolino e i«suonatori» eredi della tradizione

di Marco Tiraboschi
Nel paese della Valsabbia va in scena il Carnevale più noto del Bresciano e uno dei più importanti d'Italia, accompagnato da una musica trasmessa di generazione in generazione
nella foto "Gioanì" uno dei "suonatori" del carnevale di Bagolino
nella foto "Gioanì" uno dei "suonatori" del carnevale di Bagolino
nella foto "Gioanì" uno dei "suonatori" del carnevale di Bagolino
nella foto "Gioanì" uno dei "suonatori" del carnevale di Bagolino

Le tradizioni sono viaggi a ritroso nel tempo dalla destinazione ignota, memorie fragili e preziose da custodire gelosamente per evitarne l'oblio. Vanno studiate, documentate e, quelle buone, alimentate di forza vitale per garantirne la sopravvivenza. Una di queste, miracolosamente scampata alla fredda tomba della storia, è quella del Carnevale di Bagolino che dopo un periodo di decadenza viene «riscoperto» e studiato negli anni '70 diventando il paradiso degli etnologi che gli dedicano una quantità di pubblicazioni sia editoriali che discografiche. A seguito di questo rinnovato interesse e dell'impegno dei locali nell'iniettare nuova linfa vitale nella tradizione, il Carnevale diventa forse l'evento più noto del Bresciano e uno di più importanti d'Italia. Tanto si parla degli eleganti balarì, i ballerini, con le loro maschere prive di espressione, i vestiti neri, le calze bianche lavorate e i cappelli decorati con gli «ori» di famiglia o prestati da altre famiglie. Tanto si parla degli inquietanti maschér, le maschere, del loro aspetto grottesco, delle voci in falsetto e dell'uso, di origine rituale, di toccare i genitali al pubblico, forse un tempo con l'intento di propiziare la fertilità. Poco si parla, invece, di uno degli aspetti più interessanti delle celebrazioni: la musica, che si tramanda tra i «sonadur».

La musica è un'arte immateriale, impossibile da possedere, quindi spesso bistrattata, non riconosciuta se non nei suoi simboli materiali concreti come gli strumenti musicali, le rappresentazioni pittoriche, i dischi, gli esecutori. Eppure la musica va oltre tutto questo, quella del carnevale ne è un esempio, trasmessa oralmente di generazione in generazione. Si è modificata nello stile e nel repertorio pur mantenendo un'identità e continuando ad accompagnare le danze comandate dai balarì. La posizione isolata della comunità ha favorito lo sviluppo di un repertorio omogeneo e riconoscibile caratterizzato dalla presenta dei violini a guidare le melodie e le caratteristiche parti interne. Poi gli sporadici mandolini, le chitarre dalla caratteristica pennata e gli unici bassetti a tre corde che «spingono» in avanti il ritmo delle danze di origine cortese.

Un tempo i gruppi di sonadur erano familiari, soprattutto per ragioni economiche. Venivano, e vengono tutt'oggi seppur simbolicamente, pagati dai balarì, influendo sul sostentamento della famiglia. Per questo i diversi gruppi si evitavano e mantenevano un proprio stile esecutivo che si tramandavano di padre in figlio. Erano personaggi popolari spesso curiosi come quel suonatore di bassetto di piccola statura che, non arrivando alla tastiera dello strumento, si portava uno sgabello su cui saliva a ogni suonata. Poi c'era un tale Gioanì che a causa dell'esplosione di una bomba della Grande Guerra aveva perso un occhio e la mano destra e che per riuscire comunque a suonare, si legava l'archetto al moncherino con una cintura. Una scena bizzarra, ma che testimonia l'entusiasmo che spingeva i suonatori. Anche gli strumenti erano costruiti da liutai popolari documentati a partire dal '700. Il carnevale e la sua musica sono documentati dal XVI secolo e spesso sono stati proibiti a causa del carattere provocatorio e dissacratore verso le istituzioni. Oggi il Carnevale è vivo e vegeto e il suo carattere eccessivo da «mondo al contrario» non smette di affascinare.

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