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Borgo San Giacomo, il sagrato e il mistero del prete sepolto

di Marco Tiraboschi
Il sagrato visto dall'alto
Il sagrato visto dall'alto
Il sagrato visto dall'alto
Il sagrato visto dall'alto

Oggi la morte, il dolore, sono molto più lontani da noi che in passato. Grazie alla tecnologia i malati gravi sono affidati a tecnici deputati alle migliori cure, in luoghi attrezzati, dove non possiamo sentire i loro lamenti. Le persone care non muoiono vicino a noi, i defunti non sono sotto i nostri occhi e, oggi, vengono affidati a «tecnici» che si prendono cura delle salme, accompagnate alle «case del commiato» per poi, spesso, essere disperse in cenere. Ma, per dirla con il filosofo Salvatore Natoli, questo non confrontarsi con il dolore ci impedisce di indurirci, di diventare «forti» , resta una possibilità remota un'ipotesi che nella sua indefinitezza ci inquieta trasformandosi in ansia e fragilità. Si può forse trovare un inizio a questo processo di allontanamento della morte, nelle nostre terre, quando Napoleone a Saint-Cloud nel 1804, emana un editto che stabilisce che le sepolture devono trovarsi al di fuori delle mura cittadine, lontane dai centri abitati. Precedentemente i defunti venivano inumati nei terreni consacrati delle chiese, nel pieno dell'abitato creando parecchi disagi.

A Borgo San Giacomo il vecchio cimitero era accessibile solo dalla chiesa, ma la stretta condivisione degli spazi tra parrocchiani e defunti dava non pochi problemi. L'odore nauseabondo dei cadaveri in decomposizione non permetteva di svolgere le funzioni religiose ne di frequentare la zona adiacente alla chiesa. Così, alla fine del '700, viene deciso di costruire un nuovo Campo Santo a ridosso della parrocchiale, uno spazio ampio, quasi una corte, circondato da eleganti porticati, impreziosito da una cappella centrale e caratterizzato dall'impiego di marmi e raffinate decorazioni. Un edificio di una certa unicità che viene terminato nel 1777 e che risolve definitivamente il problema delle sepolture. Il luogo è amato e rispettato dalla comunità ma, solo pochi decenni più tardi è necessario dismetterlo a causa dell'editto napoleonico. Un processo lento di trasferimento verso un nuovo cimitero edificato nei pressi dell'antica chiesa di San Genesio.

Il Sagrato resta in uso fino al 1822, poi incontra un progressivo decadimento che lo rende un luogo curioso, tenebroso, un'oscura presenza nel cuore dell'abitato, il che fa nascere storie e leggende. L'aspetto bizzarro della struttura, ormai priva di sepolture, i muri scrostati che lasciano intravedere i mattoni erosi dal tempo, i dipinti anneriti che si proteggono sotto gli eleganti porticati lasciano immaginare un passato glorioso in cui avvenivano fatti strani, oggi incomprensibili, un passato nel quale, si dice, un prelato vestito di tutti i paramenti fu sepolto seduto su un trono, proprio nel centro del sagrato, in una camera segreta. Una suggestione popolare determinata dall'idea che un posto così autorevole dovesse essere utilizzato per qualche funzione o rito «speciale», o che rimanda al tempo in cui i morti erano talmente vicini ai vivi da non accettare di dover rinunciare a una parvenza di vita.

Oggi il sagrato ha subìto interventi di restauro che ne permettono la salvaguardia, ma dell'inquietante cadavere seduto non è emersa alcuna traccia. Forse, nella sua camera segreta, il prete è ancora lì, al buio, tra polvere e ragnatele, quasi dimenticato, simbolo di una vita passata in cui il confronto tra i vivi e i morti era diretto. Ora è nascosto per sempre, là dove la sua visione non ci possa urtare, seppur lasciandoci un vago senso di inquietudine.

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