Bovegno 1944,
la strage più vile

Egregio direttore, nel ricordo dei martiri e nello spirito dei più alti valori della cultura antifascista, nei giorni scorsi è stato ricordato il barbaro eccidio nazifascista che il 15 agosto 1944 a Bovegno costò la vita a 15 cittadini innocenti. Quell’atto infame suscitò sgomento e indignazione, ma anche una grande collera in gran parte dei cittadini. Quella stagione - che si caratterizzò per l’offensiva partigiana, per le grandi speranze determinate dall’avanzata degli alleati e per la creazione delle zone libere - fu anche uno dei momenti più drammatici della guerra di Liberazione. L’a- gosto 1944 vide tutti i fronti in movimento, alimentando la speranza che la guerra volgesse al termine; fu allora che il terrore nazifascista compì, insieme ai feroci rastrellamenti, i crimini più sanguinosi, le stragi e le rappresaglie più orrende. Il governo di Benito Mussolini chiamò a raccolta con ogni mezzo tutte le sue forze, dalle divisioni dell’esercito di Graziani alla XMas, alla legione Ettore Muti, alle Brigate nere, alla Gnr. Le soldataglie di Salò furono guidate da aguzzini implacabili, dalle SS tedesche e italiane, dalla Wehrmacht e da reparti speciali della Rsi. Oggi, trascurando ogni lezione della storia, anzi falsificandola, si insiste nel presentare la Resistenza come uno scontro tra bande, come una guerra civile. A tale proposito ritengo che sia doveroso indagare su ogni aspetto della vicenda resistenziale e ciò va fatto con spirito di verità e metodo scientifico. Nel contempo, va espressa l’esigenza che non si può ribaltare il quadro generale relativo allo scontro decisivo e globale tra le dittature - fondate sullo sterminio e sulla violenza - e le forze della libertà. Per meglio capire perchè avvenne la feroce rappresaglia nazifascista del 15 agosto 1944 a Bovegno ricordo i fatti. Il 13 agosto ebbe luogo un incontro fra i comandanti dei gruppi partigiani e alcuni capifamiglia del paese, alla presenza di monsignor Francesco Bertoli. Si decise che nessun partigiano sarebbe entrato in paese armato per non provocare la rappresaglia tedesca nei confronti di civili. Solo il gruppo dei fratelli Vivenzi non rispettò l’impegno. Il 15 agosto Arturo Vivenzi ed alcuni suoi uomini scesero dalla Garotta e si trovarono a Piano dove, per tradizione, si festeggiava la Madonna Assunta. Tra questi uomini c’erano Rino Dusatti (Faro), che conosceva personalmente il generale Masini, e Guido Vitale (Cicalone). Verso sera, ad attendere il generale per il previsto incontro, sulla provinciale si trovava Leonida Tedoldi, mentre Faro e altri, tra cui Facchini, si trovavano all’ingresso di piazzetta Cimavilla. «Ci era stato dato l’incarico di scendere a Bovegno - raccontò Faro - con la disposizione di non farci vedere armati. Alle 20.50 circa arrivarono due macchine a fari spenti. Dalla prima scese un tale con un giubbotto di pelle dal quale spuntava un mitra e mi chiese dove si trovava l’albergo Brentana. Proprio in quel momento uno dei partigiani, Topolino, si avvicinò, gridò che erano fascisti della banda Sorlini e sparò un colpo di rivoltella all’autista che stava per impugnare un mitra. Io lanciai una bomba che esplose in ritardo sotto l’auto e balzò oltre un muricciolo. Colpito da una raffica ad una gamba, caddi e persi i sensi. L’amico Vitale mi vide a terra, pensò che fossi morto e mi fece portare verso il castello, a dorso di un mulo». Dalla seconda macchina viene lanciato un razzo bianco in cielo: è il segnale che mette in moto la colonna motorizzata, appostata nei pressi di villa Sorlini, composta da tre autoblindo tedesche, un semovente con mitragliatrice e camion con uomini armati. In piazzetta Cimavilla si sono radunate persone, ignare di essere presto vittime dei tedeschi. La spedizione punitiva ha inizio. I tedeschi cominciano a sparare sulle persone inermi, in sosta fuori dal circolo della cooperativa per la serata di festa. Le vittime: Luigi Vivenzi, padre di Cecco e di Arturo, che spira in ospedale dopo alcune ore di agonia; Giovanni Facchini, che muore nella sua casa alcuni giorni dopo; Battista Facchini, 15 anni, di Zigole, che muore dopo qualche ora; Arcangelo Corsini, ferito lievemente. Agli abitanti nelle case prospicienti la piazzetta viene imposto di aprire le porte. Alla porta della cooperativa si presenta Giovanni Valentini con in braccio il piccolo Giambattista Facchini, un anno. La madre Santina Ettori fa appena in tempo a togliergli il figlio dalle braccia che un manrovescio lo colpisce in pieno viso e una raffica di mitra gli crivella il petto. Di fronte alla cooperativa abita il fornaio Ariodante Coffanetti, padre di 5 figli. Anche lui viene ucciso. Donne e bambini vengono caricati su un camion con 4 uomini catturati nella casa di Isacco Tanghetti. Più tardi, sulla strada provinciale, mentre donne e bambini vengono liberati, i quattro uomini vengono fucilati. Solo uno, Arnaldo Bertella (Ginevra), si salva. Ferito alla testa, rimane sotto il corpo di uno dei compagni deceduti che sono Isacco Tanghetti, Giuseppe Gatta e Giovanni Mazzoldi. I nazifascisti saccheggiano e incendiano le case di piazzetta Cimavilla. Alcuni volonterosi accorrono con secchi per spegnere le fiamme e vengono trucidati. Sono Matteo Omodei, Aldo Vezzoli, Giuliano Tanghetti, Gaetano La Paglia. Luigi Vecchi (giornalista di Brescia Repubblicana) e Maffeo Omodei vengono rinvenuti cadaveri nei pressi della cooperativa. All’alba del 16 agosto, monsignor Francesco Bertoli si reca a Brescia al comando tedesco, accompagnato dal vescovo, sua eccellenza Giacinto Tredici, e da monsignor Pasini per chiedere che non vengano effettuate altre rappresaglie contro la popolazione bovegnese. Il colonnello tedesco assicura che il paese sarà risparmiato. Ma verso le 15 fascisti e tedeschi tornano a Bovegno. Una colonna di 8 auto e due autoblindo entra in paese. È un fuggi fuggi generale. I nazifascisti iniziano a sparare. La gente prende le cose più care e scappa il paese. Tedeschi e fascisti sparano, incendiano, devastano. Massacrano Giovanni Gatta, che non si è fermato all’intimidazione in quanto non udente. Gli assassini devono dimostrare l’uccisione di 15 banditi (come vengono definiti da Sorlini nel notiziario della Guardia Repubblicna conservato nell’archivio Micheletti). Trovano nelle case alcune vittime, tra cui Ariodante Coffanetti, e lo gettano dal balcone; recuperano vittime che si trovano nella sala mortuaria del cimitero e le trascinano legate ad un cavo nella piazzetta. Fanno sdraiare accanto a loro alcuni uomini e immortalano la loro barbarie con le fotografie. Al termine della strage i caduti sono 15. Arturo e Cecco Vivenzi, arrestati dal gruppo partigiano di Leonardo Speziale e Alberto Verginella, vengono uccisi in una triste giornata di ottobre. Il padre viene ucciso dai tedeschi. Rivolgo un caro saluto agli amici di Bovegno.

Renato Bettinzioli

ANPPIA - ASSOCIAZIONE NAZIONALE

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