brescia insolita

Cariadeghe e l'enigma degli sposi mummificati

di Marco Tiraboschi
Una storia tutta da verificare, dove probabilmente qualcosa di vero c’è. Forse i due corpi ancora aspettano quietamente in una perenne notte artificiale che qualcuno li possa riscoprire e aiuti a fare luce in questa triste storia
Una delle grotte nell'altopiano delle Cariadeghe
Una delle grotte nell'altopiano delle Cariadeghe
Una delle grotte nell'altopiano delle Cariadeghe
Una delle grotte nell'altopiano delle Cariadeghe

Tanti racconti popolari bresciani dal carattere leggendario nascono in periodi storici di grandi e tragici sconvolgimenti sociali come guerre, invasioni, saccheggi o l’imposizione di nuove dottrine religiose. Il secondo conflitto mondiale è stato uno dei contesti più recenti nel quale si è sviluppata una nuova forma di epicità narrativa che ha dato origine a una serie interminabile di racconti sui quali i ricordi hanno aggiunto dettagli e il tempo ha steso una patina opaca che ne ha smussato i caratteri originali. Una storia molto interessante è quella riportata da Costanzo Gatta nel 2011 e che riguarda l’altopiano di Cariadeghe che, essendo zona soggetta all’erosione carsica, è ricco di grotte e doline create dallo scorrimento di acque sotterranee.

Queste cavità, chiamate localmente anche «buchi del latte», erano spesso utilizzate, se vicine alle stalle, per la produzione e la conservazione dei formaggi, ma anche come rifugio in caso di emergenza. Si racconta che alla fine della guerra, nel marzo del 1944, due giovani della zona dei Ronchi, rifiutando di aderire alla Repubblica di Salò, chiedano aiuto a Don Pebejani della chiesa di San Francesco di Paola per trovare un rifugio dove nascondersi fino a quando potranno espatriare in Svizzera.

La persona a cui si rivolgono li manda da un fidato amico di Serle che li porta all’imboccatura di una delle innumerevoli grotte in mezzo ai boschi dove sono già stati allestiti dei giacigli e un fuoco. Le giornate sono lunghe e per vincere la noia e l’umidità della spelonca i ragazzi si avventurano nell’oscurità per esplorare il resto del cunicolo alla luce delle candele. Scoprendo un anfratto segreto assistono a uno spettacolo orribile: due corpi mummificati, un uomo e una donna giacciono sul nudo pavimento di pietra.

Uno dei due cadaveri ad un dito della mano porta un anello d’oro dove è dove sono incisi i numeri 2- 5- 1857. L’anello viene conservato da uno dei ragazzi, probabilmente con l’idea di scoprire di più in futuro, alla fine della guerra, almeno speriamo che l’intento fosse quello. I due si trasferiscono a Lugano e l’episodio diventa solo un racconto del terrore per le ore serali, almeno fino al 1987, quando la figlia di uno dei ragazzi, ormai diventato adulto, si reca a Vienna per preparare la tesi di laurea, qui farà un’incredibile scoperta.

Gli studi di giurisprudenza la portano ad analizzare il sistema giuridico austro-ungarico, che nel XIX secolo governava il territorio bresciano. Consultando un documento dell’Imperial Regio Delegato provinciale scopre il riferimento a un fatto accaduto a Nuvolento, dove si riporta che due sposi di Salò sono rapiti dai banditi e di loro, nonostante le indagini e le ricerche, non si ha più traccia.

Controllando la data scopre che il fatto è avvenuto il 5 maggio 1857, solo tre giorni dopo la data incisa sull’anello che il padre le aveva più volte mostrato e legato a una storia ormai divenuta patrimonio di famiglia. Una volta in Italia, si organizzano più volte ricerche per ricostruire la localizzazione esatta della grotta con i corpi degli sposi, ma purtroppo non è possibile e il luogo resta sconosciuto.

Una storia tutta da verificare, dove probabilmente qualcosa di vero c’è e andrebbe approfondito con testimonianze, documenti e ricerche sul campo. Forse i due corpi ancora aspettano quietamente in una perenne notte artificiale che qualcuno li possa riscoprire e  aiuti a fare luce in questa triste storia.

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