Brescia Insolita

Cascina Monticella: una storia di arte, candele e decadenza a Rodengo Saiano

di Marco Tiraboschi
Tra uno svincolo e la tangenziale sta un curioso, cadente, vecchio edificio grigio sormontato da due torri di gusto neo-gotico. Era il 1641...
La cascina Monticella come si presenta oggi
La cascina Monticella come si presenta oggi
La cascina Monticella come si presenta oggi
La cascina Monticella come si presenta oggi

Nel territorio di Rodengo Saiano, incastrato tra uno svincolo e la tangenziale, sta un curioso, cadente, vecchio edificio grigio sormontato da due torri di gusto neo-gotico. Si chiama cascina Monticella: tra il grottesco e il ridicolo sta lì, fuori luogo, una casa da «famiglia Addams» sbilenca in mezzo agli squallidi cubi di cemento della zona artigianale, ma della sua storia c'è tanto da raccontare.

Tutto, per noi, comincia nel 1641, quando la struttura risulta essere di proprietà del grande pittore Ottavio Amigoni. Nato nel 1606 inizialmente lavora come speziale, una specie di farmacista, nella bottega del padre, poi apprende l'arte pittorica viaggiando parecchio, cosa inusuale per l'epoca. Nei suoi viaggi visita la Liguria, l'Emilia, Milano, Mantova e la Svizzera. Ispirato da grandi maestri come il Veronese e Procaccini e dallo studio degli artisti locali, sviluppa uno stile caratterizzato da figure monumentali, colori vivaci e dall'uso magistrale della lumeggiatura, che gli permette di creare stupefacenti effetti di luce. La sua pittura rappresenta una transizione tra manierismo e barocco.

Amigoni, di fatto, ricopre la scomoda posizione di artista dell'epoca di mezzo che, nel quarto decennio del '600, l'epoca de la Monticella, raggiunge l'apice della sua arte. Sono dei capolavori l'«Ultima cena» di Quinzano d'Oglio, la «Madonna con bambino» conservato nella chiesa di San Rocco a Zone e «I misteri del Rosario» a Verolanuova. Così la nostra vecchia casa si ricopre di affreschi dell'artista che la impreziosiscono, la rendono opera d'arte e atelier di lavoro e sono ancora tutti da scoprire. Dopo più di un secolo la Monticella è ancora presente nel catasto napoleonico redatto tra 1807 e 1854 ed è definita «casa da massaro».

La masseria era casa colonica destinata all'uso agricolo e all' allevamento, ma, nel caso fosse di proprietà di una potente famiglia, poteva essere fortificata, dotata di torri e raffinati decori, come nel nostro caso. Nel 1875, nella raffinata masseria, Egidio Novali avvia un' attività che oggi suona bizzarra e lontana: una cereria, una produzione di cera e candele che utilizza la stearina, una sostanza all'avanguardia derivata dal grasso animale o vegetale. Le candele erano tra i pochi sistemi di illuminazione nelle buie notti prima che l'elettricità rischiarasse il mondo, quindi era molto richiesta una manifattura di qualità.

Il furbo Novali, come risulta dai documenti dell'epoca, elargiva regolarmente sostanziose donazioni alle parrocchie del circondario, evidentemente come riconoscenza ai propri clienti. Nel 1882 meccanizza la propria produzione introducendo la prima macchina a vapore della Franciacorta, come recita l'annuario agricolo del 1882: «Il signor Novali Egidio esercita nel Comune di Sajano un'altra fabbrica di candele di cera nella quale lavorano 4 operai maschi adulti col sussidio di un motore a vapore della forza di 3 cavalli».

In un altro documento si riporta la produzione di 11.000 kg di cera ogni anno. Così la Monticella supera anche il XIX secolo per ospitare, nel '900 delle case popolari. Qui venti famiglie di Rodengo hanno residenza fino agli anni '50, si incrociano storie, ricordi. Poi l'abbandono e la decadenza, il tentativo bloccato di raderla al suolo e, oggi, il degrado: gli affreschi ricoperti di graffiti, le finestre cieche orbite vuote, in attesa, che un giorno, la Monticella ritorni a vivere.

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