Covid, storia, mezzi umani e quelli divini

Egregio direttore, la salute fisica è antagonista di quella spirituale? Recentemente papa Francesco commentando il vangelo di Marco sulla guarigione del lebbroso ha sottolineato - con la sua freschezza comunicativa che lo contraddistingue - alcuni aspetti noti di questo brano, dipingendo il lebbroso e Gesù come «trasgressivi», che non rispettavano le prescrizioni di legge che vietavano alle persone sane di avere contatto con i lebbrosi e ai lebbrosi di entrare nei centri abitati, poiché «erano esclusi da ogni relazione sociale, umana e religiosa, per esempio non potevano entrare in sinagoga». Le parole di papa Francesco confermano la tradizione cristiana che è sempre stata aperta verso tutti, ma in modo particolare verso i più fragili che sono i poveri e gli ammalati, perché sono quelli maggiormente sofferenti, abbandonati e discriminati. Gesù ci ha insegnato ad andare incontro a queste persone e il suo esempio è stato imitato nei secoli dai missionari cristiani in terre lontane, dove hanno curato gli ammalati senza il timore di esporsi al contagio di malattie sconosciute, ma anche alle nostre latitudini molti sacerdoti e religiosi si sono prodigati nella cura di appestati durante la diffusione di epidemie sacrificando la propria vita come il giovane San Luigi Gonzaga e San Carlo Borromeo che si è consumato nell’assistenza sanitaria e spirituale dei contagiati. Durante la peste di Milano del 1576, San Carlo Borromeo, come Gesù, trasgredì le prescrizioni di legge e non solo si prodigò personalmente per l’assistenza agli appestati, ma rimproverò alle autorità civili la loro cecità spirituale «per aver messo in atto solo mezzi umani piuttosto che mezzi divini», vietando lo svolgimento di cerimonie e processioni. San Carlo, oltre ad assicurare il soccorso sanitario provvide a quello spirituale con l’amministrazione dei sacramenti agli ammalati e sull’esempio di papa San Gregorio Magno - che fermò la peste di Roma del 590 - ordinò tre processioni generali da svolgersi a Milano e chiese la penitenza dei fedeli il cui capo fu cosparso di cenere. La storia si ripete e nell’attuale epidemia i contagiati sono segregati nelle loro case o negli ospedali e, come al tempo delle leggi, ebraiche sono «esclusi da ogni relazione sociale, umana e religiosa», in quanto le attuali prescrizioni di legge impediscono agli ammalati di ricevere la visita dei congiunti e l’assistenza religiosa anche in punto di morte. È davvero incomprensibile assistere all’innalzamento di poderosi muri intorno ai malati e al repentino capovolgimento della cultura dell’accoglienza che finora andava incontro a tutti senza discriminazioni di sorta compresa quella sanitaria. È incomprensibile come si possa svilire la tradizione caritativa secolare della Chiesa impedendo ai sacerdoti di visitare gli ammalati indipendentemente dalla patologia di cui soffrono e di portare loro il conforto umano e spirituale. È trascorso un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria provocata dalla diffusione del Covid-19 e nonostante tutte le norme anti contagio, i divieti che limitano drasticamente le attività lavorative, gli spostamenti, la vita sociale pubblica e privata, nonostante siano state ridimensionate le pratiche religiose e cancellate le celebrazioni di un Natale e ora ci si appresti a cancellare quelle della seconda Pasqua consecutiva, il virus non sembra indebolito dalle prescrizioni di legge. A questo punto credo sia legittimo il dubbio che si insinua nella coscienza: e se avessero ragione i trasgressori San Gregorio Magno e San Carlo Borromeo che per porre fine alla peste si affidarono ai «mezzi umani», ma non trascurarono «i mezzi divini»? Mara Colonello

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