Frapporsi tra i contendenti per i princìpi della pace

Egregio direttore, ho letto la risposta del lettore Claudio Leni a Claudio Maffei che, in una sua lettera, si chiedeva se fosse giusto armare a dismisura uno dei contendenti della guerra in Ucraina, alla luce del fatto che l’Italia non è mai stata attaccata dal contendente opposto a quello che noi armiamo. Ora, senza entrare nel merito delle ragioni e dei torti che stanno alla base di questo conflitto, che rischia seriamente di diventare letale per il mondo intero, volevo soffermarmi su quanto scritto da Leni che, paragonando i fatti ucraini a violenze di aggressori su uomini e donne indifesi, ritiene giusto l’invio di armi in quanto lo riterrebbe un aiuto doveroso a chi è stato attaccato... Se non vogliamo poi provare vergogna quando ci specchiamo. Ebbene, caro Leni, ammesso che il paragone sia valido, non credo proprio che possa contribuire a salvare la coscienza di chi dice di avere il dovere di reagire di fronte ai soprusi, il limitarsi a fornire un’arma a uno dei contendenti e porsi, poi, in posizione di spettatore e assistere al massacro che ne consegue. Dovere di chi ha a cuore princìpi di pace (che stanno ben scritti e chiari nella nostra Carta Costituzionale), sarebbe quello di frapporsi con coraggio tra i due contendenti, non armarne uno per poi sperare che prevalga sull’altro e fingere di non vedere le carneficine infinite che derivano anche dalle nostre ipocrite decisioni. Fornire armi e diventare, poi, muti spettatori della mattanza piuttosto che attivi produttori di pace? Credo proprio sia questo genere di prassi politica all’insegna del più infimo opportunismo e della più arida disumanità che ci dovrebbe far vergognare guardandoci allo specchio. Silvano Gnutti Lumezzane

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