Metalmeccanici per una nuova politica industriale

Egregio direttore, Fim, Fiom e Uilm, con lo sciopero nazione del 7 e 10 luglio, hanno indicato la strada per una nuova politica industriale e maggiori diritti ai lavoratori. La protesta della principale categoria dei lavoratori italiani, quando molti imprenditori si lamentano perché non trovano manodopera, potrebbe essere apparsa come strana: probabilmente è strana per coloro che non hanno più la forza per guardare in faccia la realtà del Paese e sono persino sorpresi dal fatto che molti giovani si rifiutano di lavorare. Ma quali sono queste condizioni di lavoro? Devono accettare in silenzio di lavorare per circa 5 euro all’ora e senza nessun diritto? Possono solo protestare in silenzio di fronte a questa ingiustizia? Oppure devono ricorrere a quelle forme di protesta molto note all’inizio del Novecento negli Stati Uniti e che nessuno spero vogliano auspicare? In Italia è vero che alcuni giovani rifiutano il lavoro perché, in molti casi è sottopagato e privo di dignità, di libertà, di conoscenza. Nel Paese, indipendentemente dallo schieramento di governo, la politica economica si reggeva e si regge tuttora sui bassi salari, la riduzione dei diritti, il lavoro precario e il ridimensionamento del ruolo sindacale all’interno dei luoghi di lavoro. Si è teorizzato persino che la riduzione del salario avrebbe generato una maggiore occupazione. Tutto questo è avvenuto mentre le forze politiche, comprese quelle che si richiamano ai valori della sinistra, non solo guardavano altrove, ma una parte di essa ha condiviso queste ricette economiche, favorendo una sorta di egemonia culturale del neoliberismo. I bassi salari per i giovani hanno prodotto, oltre alla riduzione dei costi per le aziende, il solo effetto di accelerare l’espulsione della manodopera più anziana. È utile analizzare quello che è avvenuto nella più grande fabbrica bresciana (l’Iveco). In questi ultimi anni, l’azienda prima ha espulso la Fiom dalla fabbrica, per cercare di agire indisturbata nella riorganizzazione del lavoro e nella ristrutturazione aziendale, poi ha deciso di sostituire il contratto nazionale di lavoro in un unico accordo aziendale per i lavoratori del gruppo Fiat, senza il consenso della Fiom. E oggi i dipendenti Fiat hanno meno diritti e salari inferiori agli altri lavoratori e anche degli stessi dipendenti di aziende esterne che lavorano per Fiat. Lo stabilimento Iveco di Brescia, nell’ambito della ristrutturazione, ha portato ai minimi storici gli occupati da circa 3.500 a circa 1.400 di oggi. Questa forte riduzione del personale è avvenuta attraverso la chiusura di interi reparti, allontanando dalla fabbrica tantissimi operai/e tra i più anziani (con incentivi e il ricorso agli ammortizzatori sociali): oggi per cercare di far funzionare la fabbrica, utilizza circa 500 giovani con contratti interinali. Questo profondo cambiamento genera seri problemi all’organizzazione del lavoro e una preoccupante ripresa degli infortuni. Per modificare e cambiare questa situazione, straordinaria è la paziente resistenza portata avanti da diversi anni della Fiom e dai suoi delegati che lavorano all’Iveco di Brescia: il loro speciale impegno di ogni giorno, coinvolgendo sempre i lavoratori nelle decisioni da assumere, permette gli occupati di credere che è necessario e possibile modificare questa difficile situazione. L’ha ribadito la forte adesione allo sciopero del 7 luglio, che per i lavoratori dell’Iveco di Brescia, è stata di 8 ore, poiché alle 4 decise a livello nazionale ne sono state aggiunte altre 4 dai delegati Fiom per sostenere maggiore sicurezza sul lavoro. I giovani precari (circa il 50%) che hanno scioperato il 7 luglio scorso, hanno dimostrato di non avere paura, perché hanno la consapevolezza che senza la loro presenza, il loro lavoro, la produzione sulle linee di montaggio si ferma. E quanto sta avvenendo nella più importante fabbrica bresciana è un problema non solo per i lavoratori che subiscono queste ingiustizie, ma riguarda l’intera collettività. I lavoratori dell’Iveco di Brescia hanno sempre svolto un importante ruolo politico e sociale in fabbrica e nella società a difesa delle libertà e della stessa democrazia. E quello che subiscono oggi i lavoratori, in conseguenza alle decisioni dell’azienda, è un vulnus pericoloso per tutta la comunità e tutti i lavoratori bresciani. Il nostro Paese ha estremamente bisogno di una vera politica industriale, di aumentare i salari, anche attraverso il salario minimo e potenziando il ruolo dei contratti nazionali. È necessario, insomma, affrontare con gradualità una serie di grandi questioni nazionali e locali, introducendo nuove relazioni sindacali. Lo sciopero nazionale dei giorni scorsi dei metalmeccanici rappresenta la volontà vera di cambiamento per una nuova politica industriale che metta al centro il valore delle persone. Ora spetta soprattutto alle confederazioni sindacali di Cgil, Cisl e Uil dare continuità. Osvaldo Squassina Ex segretario generale Fiom-Cgil di Brescia

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