l'intervento

Se il mondo non è (ancora) un luogo per donne

di Laura Castelletti - vice sindaco di Brescia
Una panchina rossa contro la violenza alle donne
Una panchina rossa contro la violenza alle donne
Una panchina rossa contro la violenza alle donne
Una panchina rossa contro la violenza alle donne

Questo non è un luogo per donne. Leggiamo sempre più spesso di spazi preclusi all’ingresso di esseri umani cui vengono posti limiti alla libertà di muoversi, studiare, lavorare, viaggiare, divertirsi in quanto donne. Un motivo che appare sempre più vuoto e folle e che, al netto di una scala di gravità delittuosa, è il seme di ogni violenza di genere. La notizia delle cittadine iraniane scacciate dagli ingressi dello stadio di Mashhad benché munite di regolare biglietto per una partita di qualificazione ai Mondiali ci conferma che le concessioni di libertà condizionate alle donne, in contesti culturalmente ostili alla parità, sono strumentali e ipocriti. Basta una bomboletta di spray al peperoncino sparata dritta negli occhi di una tifosa e la propaganda lascia il posto alla verità: i diritti che vengono concessi non sono reali, possono essere ritirati in ogni momento, perché chi «concede» si riserva sempre il diritto di rinnegare la sua decisione. La scrittrice francese Annie Ernaux lo chiama «addestramento alla diseguaglianza» e gli adulti lo insegnano ai bambini da quando questi mettono piede nella prima struttura sociale: la scuola. Gli studi di genere e le discipline psicologiche e pedagogiche hanno ormai prodotto una quantità di lavori sulla questione, che è innegabile: i bambini non percepiscono differenze al loro interno (di genere, di razza, di abilità) finché il percorso scolastico e i contenuti dell’apprendimento non insegnano loro che le donne sono strutturalmente fragili, emotivamente instabili, naturalmente propense a interessi «da femmine». Per le stesse ragioni, i regimi che basano la loro dimostrazione di forza sull’oppressione delle donne e la cancellazione dei loro diritti hanno come obiettivo primario i luoghi della formazione, dell’educazione e dell’emancipazione. Un caso per tutti, e uno schiaffo dopo le deboli speranze dei mesi scorsi, il nuovo recente divieto all’istruzione femminile da parte dei talebani in Afghanistan. La parità di genere è una chiave di cambiamento che ha dimostrato in ogni contesto sociale di costituire una leva di progresso straordinario. Promuoverla e attuarla non è questione di legge, ma un impegno culturale che coinvolge ognuno di noi. Non è un obiettivo ottimista per il futuro, bensì un’urgenza del presente necessaria, poiché l’estremismo della violenza machista oggi ci mette di fronte al pericolo letale dei suoi effetti per il genere umano e per il pianeta terra, dall’invasione Ucraina ai 14 milioni di bambini senza cibo in Afghanistan, solo per citare due tra le più recenti ed estreme emergenze umanitarie risultato di politiche dichiaratamente machiste. Come si trasformano luoghi ostili alle donne in spazi di parità? La cronaca ci offre qualche ottimo esempio, a cui dobbiamo guardare con fiducia per capire che il cambiamento non è solo possibile, ma doveroso e necessario. Partiamo dalla Francia, che reagì alla prima ondata di denuncia dei molestatori trascinando in tribunale la giornalista Sandra Muller (che per prima denunciò il suo molestatore con l’hashtag #BalanceTonPorc), assolta solo tre anni dopo: in questi giorni è entrata in vigore la legge 2021-1018 che considera i «comportamenti ripetuti a connotazione sessista» lesivi della salute sul luogo di lavoro. Le molestie rendono lo spazio di lavoro un luogo non da donne; lo rendono tossico per tutti. Un altro esempio a cui guardare è Londra, che dopo il brutale delitto compiuto dal poliziotto Wayne Couzens ai danni della 33enne Sarah Everard (fermata mentre attraversava il parco di Clapham Common con il pretesto di un controllo anti-Covid, rapita, stuprata e uccisa) oggi promuove la campagna «Have a word» (traducibile con «dì qualcosa») che chiama in causa gli uomini a riconoscere e disinnescare i semi della violenza. Infine, dall’India alle nostre case, il documentario «Period» (su Netflix) ci racconta come le mestruazioni, normale stato biologico delle donne, siano il primo fattore di discriminazione, povertà e abbandono scolastico per tantissime ragazze e di come l’impegno delle imprese e della politica (come thepadproject.org) stia rovesciando uno stigma insensato. Imparare a leggere il mondo con la chiave della parità di genere ci insegna a riconoscere i semi della violenza e a reagire, anche in Italia: dallo stupro di Londra è nato il progetto donnexstrada.it; dall’attenzione di enti come ISTAT sui numeri delle violenze sui luoghi di lavoro e sulla precarietà del lavoro per le donne oggi importanti fondi del PNRR vengono indirizzati al sostegno dell’occupazione e dell’imprenditorialità femminile; da iniziative di normalizzazione del ciclo mestruale nella rappresentazione delle donne e nell’educazione alla relazione affettiva nascono le sempre maggiori pressioni per una tampon tax; dalla qualificazione della nazionale di calcio femminile ai Mondiali il Consiglio Federale della FIGC ha deliberato lo scorso 9 novembre 2020 che, dalla stagione sportiva 2022/2023, ci sarà l’introduzione del professionismo sportivo nel calcio femminile. Una svolta epocale per il nostro Paese, che contribuirà a far capire il punto della questione: il mondo intero è un luogo per donne!•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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