Pulsazioni sincopate, deliri di onnipotenza ritmica ed edonismo crepuscolare. Finiti i bla bla istituzionali, i baci, gli abbracci e i selfie con i carabinieri in alta uniforme - sì, ci sono stati pure quelli - dalle scale del Grande si è dipanato un rito randagio, notturno, invasivo e pervasivo. Ieri, il gran sabba di Brescia Capitale della cultura si è finalmente chiuso con una performance onnivora, infinita - nel titolo e nelle sostanza - e collettiva. Un’orgia di musica classica ed elettronica, fiati e percussioni, canto libero e dj set sperimentale.
In completo inamidato e sneakers, alle 19 i musicisti della Magicaboola brass band hanno scortato il pubblico dalla sala del massimo cittadino, dove si è tenuta la cerimonia ufficiale, alla strada, il luogo di quella ufficiosa, popolare e virale. Il corteo di sassofoni, trombe, casse rullanti e percussioni ha viaggiato in centro storico per oltre un’ora.
Dopo i discorsi, tempo di musica
Piazza Tovini, di fronte al Grande, è stata il palcoscenico della banda cittadina Isidoro Capitanio: la formazione, in versione ridotta, ha eseguito in modo stoico (sotto un freddo maledetto) e impeccabile musiche di Lully, Mozart, Beethoven, Verdi, Fucik e Ligasacchi, ipnotizzando anche i passanti più distratti.
Lo stesso posto, più tardi, è stato preso in ostaggio da Jant Bi, un collettivo di artisti senegalesi che ha interpretato ritmi e danze africane, forse poco consone al clima e al contesto, sicuramente molto, molto contagiose. In contemporanea o quasi, sotto il porticato di piazza Loggia è risuonato l’eco delle voci bianche: il concerto dell’accademia Musicalmente, diretta da Paola Ceretta, ha avuto come protagonisti l’ensemble, le voci bianche di Julia Demenko e i solisti Silvia Maria Meneghinotto, Lidia Raeli, Monica Soardi.
In conservatorio e al Moca
Altro spazio, altro genere: il salone Pietro da Cemmo del conservatorio Luca Marenzio è stato l’alcova del duo violino e arpa di Pietro Milzani e Caterina Artuso, che ha assecondato i feticisti del classico con un repertorio che includeva Donizetti, Ibert, Rossini e Saint-Saëns. Poi, tra cantanti, violoncelli, flauti e fagotti, è andato in scena il barocco. L’improvvisazione trasversale, cosmopolita e d’autore, invece, ha preso possesso del Mo.Ca, assurto a cassa di diffusione del jazz: il Giangrossi-Cantù-Alberti Trio si è esibito nei brani di Silver, DeRose-Shefter, Bonfa, Wheeler, Bley, Shorter e Brown.
Il pubblico della Tosio Martinengo è stato indotto in tentazione da «Assaggi d’opera» estemporanei e non previsti: tra i capolavori della collezione hanno risuonato le arie di Donizetti, Gounod, Massenet, Verdi, Mozart e altri nomi di culto della lirica. Il soprano Silvia Spessot, il mezzosoprano Aoxue Zhu, il teneorenXin Zhang e i chitarristi Matteo Murari e Riccardo Cervato sono stati applauditissimi.
L’atteso Saturnino
Alle 21, la festa urbana è tornata al suo epicentro originario, corso Zanardelli: la sacra soglia del Teatro Grande è stata profanata da una consolle. Il secondo e ultimo atto di una serata infinita e capitale è stato aperto da Giungla: la lanciatissima frontgirl della scena contemporanea e sperimentale ha aperto le danze e svegliato una piccola ma viva bolgia infreddolita. Infine, l’officiante più atteso del rito, Saturnino: il dioscuro di Jovanotti, con cui ha inciso otto album, è un ospite recidivo del massimo cittadino. Lui, solo lui, poteva e doveva concludere una notte storica. L’ha fatto a modo suo, con l’elettronica. Il modo migliore.