LA SERATA

Tarantino trasforma il Grande in un cinema per Brescia Capitale

di Sara Centenari
Il regista americano racconta i film della sua vita. Cavalcata tra miti western e inseguimenti a San Francisco per 1.200 fan «Vedevo capolavori a 7 anni, intuendo amore e ironia nei volti degli adulti».
Quentin Tarantino immortalato al suo arrivo al Teatro Grande: accolto dallo staff, è entrato dalla porta che dà su via Paganora Foto OnlyCrew
Quentin Tarantino immortalato al suo arrivo al Teatro Grande: accolto dallo staff, è entrato dalla porta che dà su via Paganora Foto OnlyCrew
Quentin Tarantino immortalato al suo arrivo al Teatro Grande: accolto dallo staff, è entrato dalla porta che dà su via Paganora Foto OnlyCrew
Quentin Tarantino immortalato al suo arrivo al Teatro Grande: accolto dallo staff, è entrato dalla porta che dà su via Paganora Foto OnlyCrew

Il sipario del Teatro Grande di Brescia ieri sera si è alzato per permettere a Quentin Tarantino di dire a tutti cosa è spaventoso per lui. Scary, terrificante, insopportabile. Non il massacro degli hippies nel film più famoso di Avildsen né la tortura nello stadio da parte di Callaghan (che tra l’altro spara ai rapinatori mentre mangia sereno un hotdog) bensì «Bambi», il film della Disney, per giunta d’animazione. Un titolo che illudeva lo spettatore con la gaiezza del coniglio Tippete e le puzzette di Fiorellino nei trailer e poi scioccava tutti per sempre con l’uccisione della madre del cerbiatto, incendi e altre rovine. Il regista di Knoxville ha offerto ai 1.200 fan presenti una centrifuga elettrizzante del suo spirito caustico ma entusiasta, della sua capacità di leggere i film e tra i film: gusto del paradosso, cinefilia ubriacante, memoria di ferro, apologia del cinema di genere e superamento degli steccati, piantati con malagrazia da critici ciecamente snob. E un viaggio di formazione tenerissimo, in mezzo alle chiazze di sangue sulle telecamere: quello della sua infanzia e della sua iniziazione al cinema. Senza cintura di sicurezza. Perché è come se mamma Connie, e il suo caleidoscopio irresistibile di amici e fidanzati, avesse preso il settenne Quentin e l’avesse esposto alle intemperie di movieland tenendolo per le ascelle su un baratro, come la scimmia del Re Leone col futuro capo della savana.

Un viaggio tra le pellicole di «Cinema speculation» 

È un re pure lui: il dominatore della sfida a chi crea più sinapsi tra una pellicola e l’altra, come emerge dal libro «Cinema speculation» edito da La Nave di Teseo, presentato in inglese con il giornalista Antonio Monda per Brescia capitale della cultura. Un fiume in piena colmo di sorprese come il Cahulawassee lungo cui monta la violenza in «Un tranquillo weekend di paura» di John Boorman. Quentin arriva a grandi passi, camicia scura, jeans e sneaker: quel che gli serve per mettersi comodo e parlare a mitraglia dei Movie Brats, Spielberg, Scorsese, Coppola, Lucas, De Palma «che non avevano bisogno di rinnegare il cinema di genere perché adoravano certi film del passato», e de «“Lo squalo“ di Steven, che è uno dei più grandi film di tutti i tempi», perché «uno dei maggior talenti di sempre sapeva quello che voleva e col sudore andò fino in fondo». Paragoni, giochi di sponda, colpi di genio nel leggere in filigrana svolte produttive, metafore e sensibilità di diverse generazioni, con l’aiuto di 5 clip anni ’70 tutt’altro che casuali (da «American graffiti» a «Taxi driver»). «Repellente e intrigante» è molto del cinema che lo appassiona e ci spinge a forza a rivedere, come il «cocktail» di «biechi luoghi comuni» nella performance atroce e comica di Peter Boyle ne «La Guerra del cittadino Joe», il suo battesimo. Anche se dormì un pochino. «Il padre spara alla figlia hippie?» chiese sconvolto il piccolo Quentin al risveglio. «E poi era triste?» chiese angosciato.

Tarantino saluta al suo arrivo al  Teatro Grande FOTO ONLY CREW/Filippo  Venezia
Tarantino saluta al suo arrivo al Teatro Grande FOTO ONLY CREW/Filippo Venezia

Da Callaghan a Bullitt, scorre il cinema degli anni '70

Da allora un turbinio di altre visioni spesso disturbanti: fotogramma dopo fotogramma assistiamo alla nascita di un’estetica che nella sua filmografia accoglierà un’etica in cui non sempre, dopo il massacro, scende il velo di tristezza che la mamma gli descrisse allora, per quietarlo. Ma in sala scoppiano anche risate contagiose, di fronte alle traduzioni italiane che più si sono arrampicate sugli specchi della storia del cinema, come il citatissimo «Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo!». Divertimento assicurato anche con la storia di «Getaway» che avrebbe potuto essere un film di Bogdanovich, se lui non fosse stato così accomodante da irritare il ruggente meraviglioso Steve McQueen che aveva bisogno di qualcuno che sapesse che motociclette, motori e macchine non erano dettagli secondari. Eastwood? Tarantino smentisce che avesse solo le due espressioni legate al cappello: anzi «una varietà incredibile di piccole differenze». «Chinatown»? Non fa per lui. Non come «Rolling Thunder», «Fuga da Alcatraz», «Bullitt», «Il buono, il brutto e il cattivo» («il miglior film di sempre») e infiniti altri capolavori.
Tutto denso, tutto vivo. E infine una cena bresciana per il regista, prima di ripartire per Milano. Nessun hamburger Royale, pollo al sugo con cipolle o strudel di mele come in «Pulp fiction» e «Inglorious basterds». Ma piatti tipici bresciani per una giornata colma di sapori, memoria, colpi di scena. •. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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