ALTO GARDA, REGNO E SCRIGNO PREZIOSO

di Chiara Comensoli
La vecchia dogana segnava il confine con l’Impero Austro-Ungarico. Nell'Alto Garda si dice: «Te pasaré da Lignàc» («Passerai da Lignago prima o poi») per indicare un percorso inevitabile
La vecchia dogana segnava il confine con l’Impero Austro-Ungarico. Nell'Alto Garda si dice: «Te pasaré da Lignàc» («Passerai da Lignago prima o poi») per indicare un percorso inevitabile
La vecchia dogana segnava il confine con l’Impero Austro-Ungarico. Nell'Alto Garda si dice: «Te pasaré da Lignàc» («Passerai da Lignago prima o poi») per indicare un percorso inevitabile
La vecchia dogana segnava il confine con l’Impero Austro-Ungarico. Nell'Alto Garda si dice: «Te pasaré da Lignàc» («Passerai da Lignago prima o poi») per indicare un percorso inevitabile

Nata nel 1962 per produrre energia elettrica, la lacrima blu artificiale della Valvestino è sicuramente una lacrima di gioia. Per la bellezza delle sue spigolosità sintetiche, ma anche per il turchese minerale che sfuma in un bluastro profondo quando i profili montuosi che la attorniano decidono, incalzati dal sole, di tuffare i loro riflessi nell’acqua. Risiede qui, all’interno del Parco Alto Garda Bresciano, la rappresentazione ideale del concetto così antico di locus amoenus (luogo ameno), un miscuglio equilibrato e sfolgorante che unisce utilità umana e arte naturale, la mano dell’uomo alla fronda di madre terra. La festa dell’occhio è una festa con sorpresa: quando le acque si ritirano, nel loro tumulto telecomandato, ecco comparire dal fondale, come un corallo di pietra smangiucchiato dal tempo, la vecchia dogana di Lignago. Eretta dall’Impero austro-ungarico, giaceva nel letto della valle per controllare le merci in entrata e in uscita dal territorio: ora giace nel letto del fiume sommersa da un’aitante coperta che rifornisce le comunità vicine con una produzione annua di 137 megawatt di elettricità. Ad ogni gomito del bacino lacustre, abbarbicato fra le montagne come un geco iridescente, una spolverata di case illuminate dalla corrente silvana: la leggenda vuole che il primo contadino che abitò la valle ebbe 7 figli, che non seppero accordarsi per la spartizione dei beni alla sua morte. Per questo decisero di non volersi più rivedere e ciascuno costruì una malga dalla quale non si potessero vedere le altre. Ecco Armo, il borgo dei pini piantati ad inizio ‘900 dagli austriaci; Bollone, con le vetrate colorate della chiesa di San Michele Arcangelo, dedicate ai caduti delle Guerre Mondiali, che qui si combatterono prima in divisa austriaca e poi in uniforme italiana; Cadria, composto di poche casupole disposte schiena contro schiena come a difesa da una natura ancora troppo egemonica per voler battere in ritirata; Magasa, con la frazione di Cima Rest, un prato continuo e lussureggiante puntellato dai tipici fienili col tetto in paglia, affittabili oggi per vacanze intime e rustiche: questo luogo arcadico ospita anche il Museo Etnografico della Valvestino e un osservatorio astronomico; Moerna, che si fregia del punto panoramico più avvincente, il Colle di San Rocco, intermediario possente fra l’azzurro gassoso del cielo e quello denso del lago; Persone, riposto all’ombra di alberi secolari e centro della rete sentieristica della valle; Turano, ai cui piedi dimora la chiesa del Martirio di San Giovanni Battista, la più antica di tutte, infissa nella valle da prima dell’anno mille. Il bacino lacustre artificiale appartiene per la maggior parte al territorio di Gargnano. La sua sede comunale scruta il lago di Garda crivellata da palle di cannone austriache, che la raggiunsero durante la Terza Guerra di Indipendenza del 1866, forse per la sfrontatezza di tale scrutare tenace e orgoglioso. Ma non sono questi gli unici segni lasciati dalla rete a strascico che è il tempo: lungo il suo incessante trascinarsi oltre esso ha dimenticato dietro di sé i fossili delle epoche che, una dopo l’altra, hanno sfilato sul lungolago di Gargnano. In ordine cronologico, messaggeri del tempo, la chiesa di San Giacomo, nominata già in documenti risalenti al 1194; la chiesa di San Francesco, costruita nel 1289, dai capitelli decorati con cedri e limoni; la neoclassica chiesa di San Martino, edificata su progetto del celebre architetto Rodolfo Vantini ad immagine e somiglianza del Pantheon romano. Al suo interno la tela dell’Ultima Cena, realizzata dalla scuola del Veronese e irradiata dalla luce naturale proveniente dalle fenditure della cupola: grazie ai bagliori del sole dell’alto Garda bresciano riluce così con più chiarezza la grazia - e la dignità - dell’atrio monumentale del comune di Gargnano.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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