l'anniversario

Così Brescia diventò «Leonessa d’Italia»: 175 anni fa l’eroismo delle Dieci Giornate

di Milena Moneta
Valore e fierezza al di là della sconfitta riconosciuti anche dal nemico austriaco. Il coraggio di Tito Speri, don Pietro Boifava e Carlo Zima ha ispirato generazioni: monumenti alla loro memoria costellano oggi la città, dalle piazze al Castello

«La baraónda la s’è ambiada issé […] l’era la fi dè marz, ai vintitré»: le Dieci Giornate di rivolta e barricate contro il dominio austriaco iniziate 175 anni fa, il 23 di marzo 1849, risuonano nei versi di Angelo Canossi e di altri poeti, in racconti e drammi. Nonostante la sconfitta «Brescia la forte, Brescia la ferrea», così definita da Carducci, si guadagnò il titolo di «Leonessa d’Italia» (anche se lo stemma della città, antecedente a quei fatti, riproduce un leone rampante e non una leonessa). Titolo attribuitole dal poeta Aleardo Aleardi nel 1857 («Leonessa d’Italia, / Brescia grande e infelice») e consacrato vent’anni dopo da Carducci. Valore e fierezza dei combattenti ammessi anche dal nemico, il generale Haynau, detto «la iena di Brescia», che affermò: «Avessi avuto io tremila di questi inferociti ed indemoniati bresciani, Parigi sarebbe stata mia in breve tempo», furono consacrati nel 1899 con la medaglia d’oro di «benemerita del Risorgimento nazionale».

La ricostruzione

In quegli anni - tra il 1848 e 1849 si combatte la prima guerra di indipendenza - l’aria di sommossa si respirava da tempo anche nella nostra città, mal tollerando oppressione, stretto controllo politico, vessazioni, fisco esoso e facili carcerazioni. A scatenare la rivolta furono la pretesa riscossione di una multa cospicua - «Non oro, ma piombo» fu la reazione bresciana - e le voci che spacciavano per una vittoria la sconfitta piemontese a Novara, seguita dall’armistizio di Vignale. La città - galvanizzata dal suo eroe Tito Speri, impiccato a soli 27 anni il 3 marzo 1853 a Belfiore, come da don Pietro Boifava, curato di Serle, che comandò le truppe sui Ronchi - resistette a lungo nonostante le palle di cannone e le granate piovute sulla città, combattendo «alla bresciana».

Cioè venendo allo scoperto senza protezione alcuna contro i fucili asburgici, a Sant’Eufemia, a Porta Torrelunga, in corso Magenta, in contrada Sant’Urbano fino a piazzetta dell'Albera (oggi Speri) e in ogni dove, senza cedere alle intimidazioni. Quando la notte del 31 marzo il famigerato Haynau, sfruttando la viscontea Strada del Soccorso, riuscì a raggiungere la guarnigione sul Cidneo, la resa fu inevitabile, seguita da una violentissima repressione con fucilazioni, incendi, stupri.

I segni nel presente

Cosa rimane oggi? Dai monumenti alle targhe, dalle tombe nel cimitero monumentale alle poesie, da documenti e cimeli del Museo del Risorgimento, uno dei primi in Italia, ai nomi delle vie, come la centralissima via X Giornate, e delle piazze, dai ritratti di Angelo Inganni e altri artisti alle 4 tele di Faustino Joli in pinacoteca Tosio Martinengo, a litografie e carboncini fino al foro nella parete meridionale del Salone Vanvitelliano, causato da un proiettile austriaco sparato dal Castello, molto parla ancora di quell’epoca.

In piazza Loggia ecco la «Bella Italia», monumento ai Caduti delle X Giornate di Giovanni Battista Lombardi, dono di Vittorio Emanuele II, e il bassorilievo sotto il volto del palazzo Monte di pietà, dono del 1899 degli emigrati bresciani in Argentina; in piazzetta Tito Speri il monumento a lui dedicato, opera di Domenico Ghidoni; salendo in Castello da via San Faustino il monumento a padre Maurizio Malvestiti, che trattò la resa; in cima l’obelisco dedicato ai Martiri delle Dieci Giornate, del 1897. In piazzale Arnaldo una targa recita «Brescia negando fede alla sconfitta di Novara insegnò che il soccombere può essere più glorioso del vincere». In Spalti San Marco un’altra targa racconta del 27enne Carlo Zima cui gli austriaci diedero fuoco: si avvinghiò ad un croato fino a farlo bruciare con lui. In via Torricella si ricorda la legione di Gabriele Camozzi giunta da Bergamo in aiuto ai bresciani, tradita da una spia e trucidata.

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