Ellroy racconta l’America al di là dei luoghi comuni

James Ellroy indica la strada
James Ellroy indica la strada
James Ellroy indica la strada
James Ellroy indica la strada

La scrittura è sincopata, fredda, essenziale, scarna, ruvida, per alcuni versi ostile. Non concede nulla. Va dritta all’essenziale. E l’essenziale è terribile. «American Tabloid» fu pubblicato la prima volta nel 1995. È passato quasi un trentennio, ma quello spaccato d’America di James Ellroy continua a inchiodare a una storia di figure del bene (poche) e del male (molti, moltissimi) che – di fatto – hanno generato gli Stati Uniti del dopo Kennedy. Questo romanzo è il primo di una trilogia. L’arco temporale va dal 1958 al 1963, cioè dalla scalata alla White House dei Kennedy (visto il ruolo di tutta la family), a quel 22 novembre 1963 dell’assassinio di JFK. Al fianco di personaggi di fantasia ma assolutamente verosimili si muovono figure quali Bob Kennedy, Hoover, padre padrone dell’Fbi, il multimilionario Huges nel suo periodo più inquietante, il sindacalista corrotto Hoffa (presente anche in «C’era una volta in America» di Leone), Frank Sinatra, Marilyn Monroe, Ava Gardner, e lo stesso Fidel Castro. Personaggi che intrecciano una storia dai tratti spesso drammatici. Plot: l’ascesa e la caduta (col tiro al piccione sulla sua testa, a Dallas) di JFK. L’incipit (folgorante) – «L’America non è mai stata innocente» – introduce una narrazione che accompagnerà il lettore fino alla distruzione di ogni certezza. Se nessuno è innocente, non tutti sono colpevoli. Ellroy demolisce tutti i luoghi comuni su un mondo rappresentato spesso in modo manicheo. Lo scrittore riconosciuto come fra i maggiori esponenti del noir ribalta il tavolo, costringendo i lettori a rintracciare a fatica le tessere di un puzzle che non potrà più ricomporsi come prima. Trama lunga e complessa. Un affresco inquietante di ieri capace di «spoilerare» America-oggi.

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