Il monologo

Luca Bizzarri: «Siamo molto peggio dei nostri padri. Ai miei tempi non c'erano i social, ma l'eroina...»

di Alessandra Galetto
«Non hanno un amico» ispirato all'omonimo podcast che sta riscuotendo grande successo in scena al Teatro Nuovo
Divertiamoci a Teatro. Luca Bizzarri sarà domani al Nuovo
Divertiamoci a Teatro. Luca Bizzarri sarà domani al Nuovo
Divertiamoci a Teatro. Luca Bizzarri sarà domani al Nuovo
Divertiamoci a Teatro. Luca Bizzarri sarà domani al Nuovo

La comunicazione politica dei nostri tempi, i fenomeni social, i costumi di un nuovo millennio confuso tra la nostalgia del Novecento e il desiderio di innovazione tecnologica e sociale. Si muove tra questi temi «Non hanno un amico» di e con Luca Bizzarri, lo spettacolo teatrale scritto a quattro mani con Ugo Ripamonti e ispirato all’omonimo podcast edito da Chora Media che ha riscosso e continua a riscuotere grandissimo successo.

Bizzarri arriva a Verona domani sera, 9 marzo, alle 21 al Nuovo per un’unica data fuori abbonamento, all’interno della rassegna Divertiamoci a Teatro. Un’ora di racconto in cui, con la sua ironia senza sconti, ci mostra quell’immagine di noi e del nostro tempo che spesso preferiamo non vedere.

Bizzarri, partiamo dal titolo. Ma chi è un amico?

Un amico è quello che ti dice che stai sbagliando, quando è il caso di dirtelo. Ma ormai tutti preferiamo circondarci di persone che ci dicano che siamo bravi, perché la verità è spesso scomoda. Vedi quello che accade in politica, ovvero la vanità della politica, che cerca solo adulazione, e che ha perso così ogni senso del ridicolo.

La politica dunque, nel mirino, ma vista anche come specchio di un modo di essere più generale che caratterizza il nostro tempo?

Si certo, la questione è generale. Io parlo soprattutto di incontri e scontri tra generazioni. Nella mia generazione i figli volevano diventare adulti, adesso invece sono i genitori che vogliono tornare ragazzi. Fanno tutto quello che fanno i loro figli: si fanno i selfie con i figli, vanno ai concerti con i figli, fanno i compiti con i figli.

Insomma bisogna ammettere che quella dei cinquantenni non è proprio una generazione da prendere ad esempio?

Nel mio spettacolo sono tranchant: la mia generazione è la peggiore sia per quanto riguarda i genitori che per quanto riguarda i figli. Che cosa abbiamo fatto noi? I nostri padri avevano fatto la rivoluzione del costume, e noi abbiamo fatto i paninari. E se ad un ragazzo oggi dici “paninaro“ non sa neanche cosa vuol dire. Lo abbiamo rimosso anche noi!

E poi ci sono i social: sono davvero la «causa di tutti i mali», colpevoli di tanta deriva?

Ai miei tempi i social non c’erano ma c’era l’eroina e direi che era un problema maggiore. Adesso tendiamo a esagerare tutto. Quanto ai social, io ho un profilo su tutti, ma le persone più intelligenti e più potenti che conosco i social non li usano nemmeno.

Il duo con Paolo, Le Iene, Sanremo, la copertina per Dimartedì, il cinema, la tv, il teatro. A quale parte del suo lavoro non potrebbe mai rinunciare?

In realtà il mio lavoro è sempre lo stesso a prescindere dal come, dal format. E a questo non rinuncerei: non rinuncerei mai al mio mestiere che è l’unica cosa che ho, vista la mancanza di legami e poi anche il mio cane ormai è anziano. Il podcast giornaliero è un incubo e allo stesso tempo una dipendenza, non posso farne a meno.

Lei è genovese: crede che la «genovesità» abbia a che fare con una vena ironica diciamo corrosiva?

Sicuramente nasciamo con il pessimo umore incorporato. Poco accoglienti, poco inclini a socializzare, io quasi un eremita. L’unica cosa che non siamo in realtà è tirchi.

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