Moro il lago che si stende liscio e nero all’orizzonte

Il lago Moro, in Val Camonica, è aperto dal vetusto borgo di Capo di Lago
Il lago Moro, in Val Camonica, è aperto dal vetusto borgo di Capo di Lago
Il lago Moro, in Val Camonica, è aperto dal vetusto borgo di Capo di Lago
Il lago Moro, in Val Camonica, è aperto dal vetusto borgo di Capo di Lago

Immerso in un’atmosfera d’altri tempi, incastonato e nascosto fra le alture che lo circondano, il lago Moro, aperto dal vetusto borgo di Capo di Lago, si stende liscio e nero. Diaspro scuro nel verde intenso delle felci e dei castagneti che lo circondano. Le scure e gelide acque affondano negli abissi di roccia, della rossastra pietra Simona, chissà fin dove, arrivando alle correnti sotterranee che, eternamente, lo alimentano. Un mondo d’acque che può ghiacciare negli inverni più rigidi mutando il paesaggio da misterioso a desolato. Un luogo che parrebbe perfetto per il poeta solitario, ma che a partire dagli anni ’80 è diventato una delle mete domenicali più ambite e affollate, arrivando a essere visitata da 3000 persone in un giorno. Anche se i tempi sono cambiati, se i vecchi, molesti, registratori a nastro sono stati sostituiti dalla musica liquida e dalle più potenti casse wireless, nei giorni festivi il lago risulta ancora impraticabile. Tanti si tuffano per vincere l’afa estiva, ma qualcuno non risale dall’abisso, come ricorda una stele dedicata ad un giovane scomparso nel 1922. Il pericolo incombente delle correnti gelide non è da sottovalutare. Sono acque insidiose. Il lago Moro è localmente conosciuto con il curioso nome di «lac de la cüna», lago della culla, a causa di una vecchia storia popolare. Questa narra che nelle notti di luna piena sia possibile vedere la culla vuota di un bambino galleggiare nelle acque del lago e che nel funereo silenzio sia possibile sentire il flebile pianto di un infante. Un’altra storia sostiene che, sempre grazie alla luna, sia possibile vedere, sul fondo, una donna intenta a cullare un bambino mostruoso. Apparizioni spettrali, sfocate dai lenti movimenti dell’acqua o dalla fioca luce lunare. Immagini che fanno accapponare la pelle e che derivano da varie altre storie che raccontano l’origine dello specchio d’acqua. Si dice che dove ora il lago lambisce i monti, c’era una verde conca, dove sorgevano solo due case, ognuna abitata da una madre, una vedova, sola con il proprio bambino. Una era ricca e l’altra povera. Un mendicante, bussando alla porta della ricca viene malamente cacciato, la povera, invece, lo accoglie con gentilezza e condivide con lui quel poco che possiede. Il mendicante invocando Dio fa sommergere la conca uccidendo la donna «cattiva» e suo figlio, portando in salvo la «buona». Un’altra versione del racconto dice che una strega, in tempi antichissimi, cercò di soffocare un bambino nella culla, il figlio di una vicina. Il delitto venne sventato da un mendicante di passaggio. Per punizione divina, la strega si ritrovò a cullare un figlio mostruoso sul fondo del lago. Storie che sembrano richiamare epoche remote, immagini e simboli che riportano alla dea madre, a riti arcani, ad altre vite, vite avvolte nella superstizione e nella solitudine dell’emarginazione sociale. Una mescolanza di idee, fatti e superstizioni che nei secoli, oppure nei millenni, si sono sedimentate nelle tradizioni arrivando fino a noi.

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