RIFORMA E RISORSE

Il cuneo fiscale e la svolta mancata

di Antonio Troise

L’inflazione, si sa, è una tassa cattiva oltre che ingiusta: riduce fortemente il potere di acquisto ma pesa, maggiormente, sui redditi fissi e su quelli bassi. Nel 2022 il carovita ha sfiorato il 10% in Europa e si è fermato poco al di sotto del 9% in Italia. Nel 2023 andrà sicuramente meglio, con un aumento dei prezzi che dovrebbe attestarsi poco al di sopra del 6%. Ma l’effetto cumulato di due anni di inflazione, alimentati soprattutto dal caro-energia, comincia a farsi seriamente sentire sui nostri stipendi e sui bilanci delle imprese. Tanto che gli italiani hanno dovuto rompere i salvadanai per arrivare a fine mese. I primi effetti si cominciano ad avvertire anche sui conti correnti dove poter la prima volta, negli ultimi tre anni, lo stock di risparmi accumulati da famiglie e imprese è diminuito anzichè crescere. Un problema enorme, soprattutto... perchè rischia di rendere più costosa la raccolta degli istituti di credito costringendoli non solo ad aumentare i tassi ma anche a restringere il cordone dei prestiti. La cura, insomma, potrebbe addirittura essere peggiore del male. Insomma, per uscire dalla crisi, non c’è che una strada: mettere più soldi nelle tasche degli italiani. Ma anche qui bisogna evitare passi falsi. Già in passato, negli anni ’70, abbiamo vissuto la stagione della Scala mobile, con l’adeguamento automatico dei salari all’inflazione. Un meccanismo che, però, creò il circolo vizioso prezzi-salari-prezzi. Con l’inevitabile conseguenza di rendere meno competitivo il nostro Paese, scoraggiare gli investimenti e ridurre l’occupazione. Per non ripetere l’errore occorre agire soprattutto sulla leva delle tasse. E qui, i margini, sono enormi. Basti pensare che l’Italia è ancora ai primi posti nella classifica dei Paesi con il più alto cuneo fiscale, vale a dire la differenza fra quello che pagano gli imprenditori e quello che realmente intascano i lavoratori. La legge Finanziaria, in dirittura di arrivo, ha cominciato a fare qualcosa su questo fronte, riducendo il cuneo di 3 punti percentuali per i redditi fino a 25 mila euro e di 2 punti per quelli fra 25 e 35 mila euro. Ma si tratta, purtroppo, ancora di briciole, un incremento di stipendio di qualche decina di euro, del tutto insufficiente a coprire la corsa dei prezzi. Per questo Confindustria aveva chiesto una cura choc, un intervento di almeno 16 miliardi da finanziare con una riconfigurazione del 4-5% della spesa pubblica. Un taglio da distribuire per due terzi a favore dei lavoratori e per un terzo a favore degli imprenditori. In questa maniera non solo si sarebbe recuperato buona parte del potere di acquisto perso dai redditi più bassi ma si sarebbero liberate risorse per favorire gli investimenti e lo sviluppo senza pesare sul costo del lavoro. Certo, considerando i tempi stretti che hanno portato alla definizione della prima manovra economica dell’era Meloni, non si poteva fare di più. Ma ora gli alibi sono caduti. L’inflazione continuerà a correre e senza decisioni coraggiose l’emergenza rischia di travolgere davvero tutti. Insomma, sarà questa la prima vera grande sfida che il governo dovrà affrontare con l’anno nuovo.

Suggerimenti