L’editoriale

L’America e la sfida di Trump

di Stefano Valentini

Rieccoli, Joe Biden versus Donald Trump, Casa Bianca, 5 novembre 2024. La sfida che non ti aspetti - due personalità forti, ma anziane, pronte a contendersi la guida della prima potenza al mondo - è stata, invece, suggellata dal «super martedì» delle primarie. Che hanno incoronato il presidente uscente e unico candidato per il Partito democratico e l’ex presidente, con tanta voglia di rivincita, per il Partito repubblicano. Tutto come previsto? Mica tanto. Non era affatto scontato che Biden, quasi 82 anni portati con temerarietà (le sue gaffe, storiche, politiche e geografiche e i suoi inciampi sono da tempo alimento prelibato per i comici), tentasse il bis. Sconsigliato da molti dei suoi e dai sondaggi, privo di una vicepresidente all’altezza delle esigenze elettorali - l’attuale Kamala Harris è una radicale di sinistra incapace di intercettare il voto moderato -, Biden non ha voluto sentir ragioni. Né altri democratici hanno rappresentato un’alternativa credibile: la stessa ex «first lady» Michelle Obama, che pure raccoglieva un buon viatico della politica, ha preferito ritirarsi da una corsa comunque molto difficile. Dunque, Biden proverà a succedere a Biden. Dalla sua una grande esperienza istituzionale.

Dall'altra parte, il pirotecnico Donald Trump, 77 anni, sembrava messo in fuorigioco sia dall'assalto dei suoi più accesi simpatizzanti al Campidoglio il 6 gennaio 2021, sia dalle inchieste giudiziarie che lo inseguono (o perseguitano, secondo i suoi sostenitori). Inchieste che, però, non possono impedire la sua competizione per la presidenza, come ha chiarito la Corte Suprema, e come hanno decretato le primarie in ben 14 Stati su 15. Con conseguente ritiro dell'antagonista, Nikki Haley. «Trump si riprenderà il Paese», prevede Steve Bannon, uno dei suoi più accreditati strateghi. Voteranno gli statunitensi, ma l'effetto di quel duello reso ora ufficiale si farà sentire sulla guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente, il rapporto dell'America con l'Europa e il suo ruolo nella Nato. Si vedrà chi vincerà, ma già si sa che Trump, a differenza di Biden, è un isolazionista: pensa innanzitutto all'interesse dei suoi connazionali. Ed è questa la ragione preminente del perché l'«America profonda» - che non è New York né Los Angeles, come credono quegli europei che hanno visto troppi film di Hollywood - si riconosca in lui, l'imprenditore ribelle e populista contro «i politici di Washington».Se il mondo non fosse sottosopra per l'aggressione neo-imperiale di Putin, l'insidia cinese e la sempre più irrisolta questione israeliano-palestinese, le prossime e 60esime elezioni presidenziali sarebbero importanti, ma non decisive. Invece, lo scontro Biden-Trump che si profila, sarà destinato a condizionare anche le sorti del mondo. E sarà soprattutto l'andamento dell'economia statunitense a determinare chi dovrà essere, per gli americani, il loro presidente. E nostro principale alleato in Occidente.

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