L’editoriale

Le sfide dopo il voto in Sardegna

di Stefano Valentini

Prima sconfitta che scotta per il centrodestra al governo, prima vittoria incoraggiante per il centrosinistra all’opposizione. Dalla Sardegna arriva un risultato a sorpresa, ma non troppo, vista la prova deludente che la maggioranza regionale di centrodestra uscente aveva dato di sé, e considerata la novità di un’opposizione unita e decisa a rimontare. L’esito tra vincitori e vinti è chiaro, anche se raggiunto al novantesimo e di un soffio. Nessuna ricaduta del voto sardo su Palazzo Chigi, ma è un risultato che, se colto con intelligente umiltà, può giovare a tutti, e di sicuro all’Italia: anche in politica il troppo stroppia e le maggioranze pigliatutto non fanno mai bene né a sé né agli altri. Ma prima di esaminare il salutare schiaffone subìto dal centrodestra («impareremo da questa sconfitta», ha commentato, prendendo atto, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni), è giusto partire dal centrosinistra, che è risalito nonostante la sfida complicata. Si può forse replicare il modello vincente Pd-Cinquestelle appena sperimentato nelle amministrative pure a livello politico nazionale? L’entusiasmo di Giuseppe Conte, il vincitore dei vincitori, e di Elly Schlein, farebbe propendere per il sì.

Ma se il costruendo “campo largo” vuole battere il centrodestra, che è maggioranza nel Paese, non può rinunciare al riformismo sia dentro il Pd, dov’è oggi, invece, schiacciato, sia fuori col terzo polo di Renzi, Calenda e chi ci sta. La Sardegna è un’isola anche sotto il profilo di un’alleanza tutta, in realtà, da inventare. E più che basarsi sulle persone, conterà il programma. Il che rende l’intento difficile: grillini e riformisti sotto lo stesso tetto? Anche il centrodestra ha i suoi grattacapi al di là della battuta d’arresto. Il primo problema si chiama Luca Zaia e si gioca sulla falsariga del rapporto tra Meloni (Fdi) e Salvini (Lega). La questione del terzo mandato -che permetterebbe a Zaia di ricandidarsi nel Veneto- è ancora aperta in Parlamento. L’esito del braccio di ferro (l’emendamento in commissione Affari Costituzionali del Senato è stato bocciato anche da Fdi e Forza Italia assieme a tutte le opposizioni), potrà avere i suoi risvolti politici. Anche se la proposta di introdurre la possibilità del tris per i presidenti di regione, proposta che ora va all’esame dell’aula, “non è inserita nel programma di governo”, come aveva ricordato la Meloni. E poi la conta, a giugno, delle elezioni europee, dove il sistema proporzionale consentirà ai singoli partiti di valutare il proprio peso in confronto a quello degli alleati, prima ancora che a quello degli avversari. Una scommessa che potrebbe vedere la stessa Giorgia Meloni scendere in campo come capolista della sua forza politica per tastare il gradimento degli italiani. Ma anche per irrobustirsi, se premiata, rispetto a Salvini e Tajani, gli alleati necessari, eppur antagonisti di fatto. Da Cagliari a Strasburgo la strada è lunga e insidiosa per tutti.

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