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Con «Il ragazzo e l’airone» nel multiverso di Miyazaki

di Luca Canini
luca.canini@bresciaoggi.it
Il protagonista Mahito Maki, il ragazzo dell’ultimo film di Hayao Miyazaki
Il protagonista Mahito Maki, il ragazzo dell’ultimo film di Hayao Miyazaki
Il protagonista Mahito Maki, il ragazzo dell’ultimo film di Hayao Miyazaki
Il protagonista Mahito Maki, il ragazzo dell’ultimo film di Hayao Miyazaki

Di ultimo film della carriera, di testamento spirituale, in realtà si era già parlato ai tempi di «Si alza il vento», quando sembrava che l’allora 73enne Hayao Miyazaki, con la sua opera più personale e autobiografica, tra scorci d’infanzia e macchine volanti, fosse fermamente intenzionato a dire basta, a chiudere il meraviglioso cerchio di un viaggio al centro della fantasia che ha pochi uguali nella storia del cinema (non solo di animazione). Per fortuna esattamente dieci anni dopo il copione si ripete. Stavolta con «Il ragazzo e l’airone», che in coda a un’attesa durata un’eternità (in Giappone ha fatto il pieno al botteghino a metà luglio) è planato anche da noi il primo giorno di gennaio. Gioia, emozione e giubilo! Per chi il sangue Ghibli ce l’ha nelle vene dai tempi della valle del vento, ma anche per tutti quelli che pensano che il cinema sia il regno del tutto è possibile, il posto giusto nel quale essere felici.

Un altro capolavoro
Se sarà davvero testamento, lo scopriremo solo vivendo. Ma i crismi del congedo dalle cose terrene, dagli affanni della materia, ci sono tutti. Il film più mistico e imprendibile del Maestro, un viaggio iniziatico alla fine dello spazio e alla fine del tempo, nel quale il plot, la trama, sono molto meno di un pretesto. Il ragazzo del titolo è Mahito, eroe miyazakiano in tutto e per tutto, parente strettissimo dei vari Conan, Ashitaka e Pazu: cocciuto, risoluto e coraggioso; l’airone è invece lo spirito guida, il Virgilio pennuto, l’animale antropomorfo che possiede le chiavi del mondo (come Howl e Haku), che sorveglia il confine tra la terra dei vivi e l’aldilà degli spiriti: egoista, inaffidabile e moralmente ambiguo. Anche qui c’è una principessa da salvare, anzi due, obiettivo di una missione tutta interiore, di un’epopea dantesca che si nutre di decine e decine di rimandi all’epica Ghibli: la barca che vola sulle onde di Conan (brivido pavloviano lungo la schiena); il fuoco sacro e purificatore di Calcifer; gli insetti, i pesci, i rospi e le creature preistoriche di Nausicaä e Ponyo; i giardini incantati e i frammenti di aeropietra di Laputa; le porte multidimensionali del castello errante; le cupole in vetro dei caccia disegnati da Jiro Horikoshi; i warawara come i kodama e i susuwatari (i nerini del buio) di Mononoke e Totoro; le strisce di carta che proteggono il sonno di Natsuko come gli uccelli-origami che inseguono il drago Haku. Ci sono tutti i figli di papà Hayao, convocati per l’ultima passerella attorno alla pista del circo Miyazaki.

Uno, cento, mille Ghibli
Dal punto di vista del senso, della poetica, la prossimità più evidente (e stretta) è con «La città incantata» (Chihiro aveva i genitori da proteggere, trasformati in maiali dalla maga Yubaba, Mahito deve superare il dolore per la perdita della madre e colmare il vuoto al centro del suo cuore), ma mai come in questo caso Miyazaki si diverte a sfumare i contorni narrativi, a flirtare con il caos totale, e ad accentuare al massimo la componente visivo-emotiva e mistico-estatica, mettendo su pellicola alcune delle sequenze più spirituali, più metafisiche, mai realizzate. Viene in mente il Kurosawa di «Ran», persino Biancaneve, se la vogliamo buttare sul favolistico, per la presenza delle sette vecchine e di tanti altri dettagli; ma soprattutto non si può non tirare in ballo un altro film testamento che ha cambiato le regole: «Paprika» di Satoshi Kon.

L’autore allo specchio
Tanto da dire, tanto su cui riflettere, ma soprattutto tanto da vedere (e da ascoltare grazie alla colonna sonora del solito Joe Hisaishi). Compreso un finale che ha davvero il sapore nostalgico del passaggio di consegne, con l’alter ego del regista, il prozio signore e padrone del sottosopra, che implode con il suo multiverso fantastico, affidando a
Mahito e Himi il compito di costruire un nuovo futuro. Un appello, un richiamo alla speranza che stride con l’incombere della seconda guerra mondiale (e con la realtà dell’orrore che ogni giorno ci circonda e che sembra non avere mai fine). La parola definitiva di Miyazaki? Forse sì. Ma l’auspicio è che quest’ultimo film sia ancora una volta solo l’ultimo prima dell’ultimo.

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