Micheletti al Ravenna Festival con una pièce del suo cuore

di Milena Moneta
Due danzatori e tre attori nell’organico voluto da Luca MichelettiMicheletti ha curato l’allestimento sotto ogni aspetto
Due danzatori e tre attori nell’organico voluto da Luca MichelettiMicheletti ha curato l’allestimento sotto ogni aspetto
Due danzatori e tre attori nell’organico voluto da Luca MichelettiMicheletti ha curato l’allestimento sotto ogni aspetto
Due danzatori e tre attori nell’organico voluto da Luca MichelettiMicheletti ha curato l’allestimento sotto ogni aspetto

Una pièce del cuore, «Histoire du Soldat», «da dire, suonare e danzare», con cui si è confrontato spesso, anche traducendone il testo, è l’imminente allestimento di Luca Micheletti - sua la regìa, l’ideazione scenica, l’interpretazione e, con Giusi Checcaglini, la versione italiana -, per il Ravenna Festival. Debutterà il 23 gennaio al teatro Dante Alighieri e per tre mesi sarà in streaming gratuitamente. In attesa di mettere in scena il «Faust», che Schumann compose dall’opera omonima di Goethe, rinviato per la pandemia, l’opera costituisce un ponte, perché è ancora «il mito di Faust che Stravinsky seleziona - sempre caro agli artisti che vogliono spingere “oltre” il loro sguardo - qui declinato nella forma semplice e arcana dell’antica leggenda russa raccolta e narrata da Afanas’ev», spiega il poliedrico artista bresciano. Si celebrano così i 50 anni della morte di Stravinskij che compose l’opera con lo scrittore Charles-Ferdinand Ramuz, per significativa coincidenza a ridosso dell’epidemia di influenza spagnola che scoppiò in Europa nel 1918 e alla quale reagì «con l’encomiabile volontà di dare vita ad un’utopia, quella dell’arte che continua nonostante tutto, riunendo un’eterogenea compagine formata da musicisti, attori e danzatori». A ribadire che anche in un momento difficile come il nostro l’arte mantiene un ruolo ed uno spazio significativi. Un’opera graffiante e sperimentale, «uno dei più innovativi e riusciti tentativi di dare vita alla chimera dell’opera d’arte totale in una raffinata versione da camera». UNENDO sul palcoscenico espressioni artistiche diverse, tutte frequentate da Micheletti, l’opera non può che risultargli affine. Tanto più che, con un piccolo organico (7 strumenti, due danzatori, tre attori), era destinata ad una tournée di strada, in Svizzera, dove il musicista era in esilio, e il teatro ambulante è di certo nel Dna di Micheletti. La storia della sua famiglia di attori viene da lì, così come l’ennesimo confronto con il diavolo e i lati oscuri del vivere. Nell'eterna lotta tra bene e male le trappole messe in campo dal demonio, regista ed illusionista, per irretire il soldato saranno anche gli strumenti del teatro. Ancora una volta il fare teatro di Micheletti è un metalinguaggio, una riflessione sul senso del mestiere. L’allestimento col cast completo - Massimo Scola, Valter Schaivone Lidia Carew, Andrea Bou Othmane - restaura scene del copione originale del 1918; vi si eseguono, a mo’ di intermezzo, i 3 pezzi per clarinetto solo che Stravinsky compose in omaggio a Werner Reinhart, il mecenate che promosse il debutto. Maestro concertatore è Angelo Bolciaghi, collaboratore da sempre di Micheletti. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

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