Talien di Elia Moutamid fa incetta di successi

Una scena di «Talien», corto diretto da Elia Moutamid
Una scena di «Talien», corto diretto da Elia Moutamid
Una scena di «Talien», corto diretto da Elia Moutamid
Una scena di «Talien», corto diretto da Elia Moutamid

Assegnato il premio alla cinematografia nonviolenta «Gli occhiali di Gandhi» a cura del Centro Studi Sereno Regis: la giuria della settima edizione di questo riconoscimento ha voluto scegliere «Talien», opera del regista bresciano Elia Moutamid. Il suo lavoro è stato valutato meritevole per un giudizio fortemente basato sull’attualità: «Il viaggio forzato, in fuga dall’Africa, e quello volontario del ritorno in Marocco, ci restituiscono uno sguardo complementare su un tema cruciale che nessun cittadino europeo può più ignorare». Qui ci sono «persone, affetti, storie rese con drammaticità e leggerezza laddove troppo spesso incontriamo numeri e stereotipi». Così «Talien», pure «Premio speciale della giuria - Italiana.Doc». «Se tu fossi un trentenne di oggi, cosa faresti?». «Emigro». C’è l’ansia dei giovani italiani contemporanei e tutto il racconto della nostalgia dei migranti di ieri nel corto che è stato proiettato in questi giorni al Torino Film Festival, nella sezione documentari (che era in programma l’1 e il 2 dicembre). Ricordi e asfalto scorrono insieme in questo road movie che è anche film di formazione. «Per me è il racconto di tante emozioni. Ripercorro a ritroso, con mio padre Abdel, la strada che lui fece da Fes a Brescia, quando decise di lasciare il Marocco per venire a lavorare in Italia», spiega il regista. Un vecchio furgone militate rimesso a posto per l’occasione diventa camper, il terzo compagno di avventura. I ricordi di Abdel si sovrappongono al racconto di 40 anni di storia italiana, nel nord operoso e troppo spesso razzista, ma anche contadino e accogliente. Battista, bresciano, resta a casa, funge da coro. PARLANO, Elia e Abdel, con spiccato accento lombardo o in arabo. Battista in bresciano. In tutti i casi aiutano i sottotitoli: «Allora hai deciso di tornare?», chiede il padre al figlio. La risposta è un viaggio che dura la spazio di un corto ma si estende fino agli anni ’80, alle prime ondate migratorie di grande impatto. «Quello che mi stava a cuore era essenzialmente fare un film sull’Italia - spiega Elia Moutamid -, una specie di fotografia del paese e di come è cambiato il paese attraverso il racconto mio e di mio padre. Io sono nato a Fes, ma Abdel mi ha portato subito qui, perché non riusciva a stare da solo». I dialoghi di «Talien» sono a volte serrati, più spesso parla il paesaggio fuori dai finestrini del camper, negli specchietti retrovisori, lungo la Francia e la Spagna, fino alle montagne che circondano Fes. «Talien» è stato prodotto da Cinqueesei. È un film che parla di legami, un viaggio nel territorio più intimo dei rapporti tra padre e figlio. Un territorio che Elia Moutamid prova a esplorare con umorismo anche su Internet: su YouTube si può vedere «Arabiscus», una web-serie in cui, con l’aiuto della moglie Valeria Battaini, spiega a modo suo, con il sorriso, le «conseguenze dell’invasione». Abituato ai riconoscimenti, Elia Moutamid ha superato le cento finali nei festival cinematografici. Il regista di Rovato, classe 1982, ha un’esperienza ormai consolidata a livello di cortometraggi. Da ragazzo si occupava di calcio, per questo è tesserato per la Figc e per l’Aia. Moutamid ha fatto l’arbitro, dalle giovanili alla Prima categoria. Poi ha scelto il cinema.

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