Emanuele Filippini
-Adrense insieme
per correre forte

di Alberto Armanini
Emanuele Filippini, 42 anni, nel giorno del suo addio al calcio con l’Urago Mella FOTOLIVE
Emanuele Filippini, 42 anni, nel giorno del suo addio al calcio con l’Urago Mella FOTOLIVE
Emanuele Filippini, 42 anni, nel giorno del suo addio al calcio con l’Urago Mella FOTOLIVE
Emanuele Filippini, 42 anni, nel giorno del suo addio al calcio con l’Urago Mella FOTOLIVE

Quando ha incrociato Stefano Bono, a pochi passi dal campo di allenamento di Adro, gli ha chiesto scusa: «Se non ha più giocato nel Brescia è stato per colpa mia e di mio fratello Antonio. Non potevano fare un centrocampo di soli nanetti». Non che Bono abbia mai patito (per l’altezza e per la chance mancata), sia chiaro. Ha poi giocato con Ascoli, Ancona, Reggiana, Pisa, Venezia, Lucchese, Venezia, Carpenedolo, Vigevano, Belluno e Olginatese, prima di finire all’Adrense. Qualche soddisfazione se l’è pur presa.

Eppure Emanuele Filippini ci teneva, oggi che è l’allenatore dell’Adrense, a chiarire subito con il suo capitano. Insieme hanno giocato nel Brescia dal 1996 al 1998: Filippini titolare fisso, 58 presenze e un gol tra A e B; Bono giovane riserva, 4 gettoni. Tra i due ci sono soltanto 6 anni di differenza: Filippini è del ’73, Bono del ’79.

È IL TEMPO che passa tra un allenatore alla prima esperienza su una panchina «vera» e un calciatore che sta chiudendo la carriera. Insieme cercheranno di fare grande l’Adrense, in Promozione: «L’obiettivo è l’Eccellenza: con i play-off o direttamente - spiega lui, schietto -. Ho visto la squadra, siamo attrezzati ma qualcosa non ha funzionato. A me il compito, senza stravolgere il lavoro di chi mi ha preceduto, di riuscire a far funzionare tutto».

Se Giambattista Belotti, Marco Zanardini e Stefano Facchi, presidente, direttore sportivo e direttore generale dell’Adrense, hanno scelto Emanuele Filippini per sostituire Renato Cartesan - esonerato dopo la sconfitta con la Stezzanese (1-3) - è soprattutto per questa franchezza. Certe doti si sono viste anche sul campo, tra Brescia, Ospitaletto, Parma, Palermo, Lazio, Treviso, Bologna e Livorno. In panchina si sono soltanto intuite, con Allievi e Giovanissimi del Brescia. Anche dietro la scrivania, alla Feralpi Salò, da responsabile del settore giovanile, Emanuele Filippini ha dimostrato le stesse doti.

Ma il primo amore non si abbandona mai. Il campo è il campo. E la panchina è la panchina: «È la mia prima esperienza e sono motivato - puntualizza -. Il presidente e il direttore sportivo mi hanno dato la chance per mettermi in mostra con un gruppo forte. Non porterò rivoluzioni: si lavorerà sulla testa».

FACILE PENSARE che sia retorica. Chi si ricorda come giocava Emanuele Filippini? Senza «testa» non avrebbe fatto la carriera che ha fatto. Ricca di gioie (200 presenze con il Brescia lo sono) ma anche funestata da una perdita che lo ha colpito nel profondo. Filippini era il compagno di stanza di Vittorio Mero, ricordato solo pochi giorni fa nel 14° anniversario della morte. E c’è un numero, oggi come allora, che torna fatalmente: «Dopo la sua scomparsa segnai a Lecce il mio primo gol in Serie A - ricorda Emanuele -. Fu il gol dell’1-3, il punteggio che corrispondeva al numero della sua maglia, la 13». E per 1-3 ha perso domenica anche l’Adrense, quarta in classifica a -3 dalla capolista Gavarnese. Il debutto in casa con il Cologno Ranica, scontro diretto in zona play-off: «Il ricordo di Vittorio è vivo dentro di me».

Lo era prima da calciatore, lo è ora da allenatore. L’Adrense crede in lui. E lui crede sia possibile centrare l’Eccellenza.

Suggerimenti