LA SOCIETÀ

Co.Bre.Ca., riferimento per il sistema-imprese

di Adriano Baffelli
La Cooperativa Bresciana Bestiame e Carni da sempre è a fianco delle aziende del settore. Giacomelli: «Troppe incognite sulle stalle»
Anche la zootecnia bresciana è alle prese con una fase segnata da diverse incertezze che pesano sulle stalleIl presidente Valter Giacomelli
Anche la zootecnia bresciana è alle prese con una fase segnata da diverse incertezze che pesano sulle stalleIl presidente Valter Giacomelli
Anche la zootecnia bresciana è alle prese con una fase segnata da diverse incertezze che pesano sulle stalleIl presidente Valter Giacomelli
Anche la zootecnia bresciana è alle prese con una fase segnata da diverse incertezze che pesano sulle stalleIl presidente Valter Giacomelli

La complicatissima fase sociale ed economica che stiamo attraversando non risparmia nessun settore, tantomeno l’agricoltura. Una contingenza talmente complessa e difficile da rendere negativi anche dati apparentemente positivi. È il caso, ad esempio, delle performance di Co.Bre.Ca., la Cooperativa Bresciana Bestiame e Carni, società cooperativa agricola attiva dal 1974, con sede in via Dalmazia a Brescia.

Come spiega il presidente, Valter Giacomelli, leader anche di Coldiretti Brescia, «nei nove mesi dell’anno abbiamo raccolto il dieci per cento in più di animali rispetto allo scorso anno. Dato positivo per la cooperativa, che conferma di svolgere al meglio la sua funzione di servizio alle imprese del settore, grazie alla forte fidelizzazione dei soci e al riconosciuto ruolo di attore serio svolto da decenni». Nel 2021 sono stati poco più di 23 mila i capi movimentati, rispetto ai 21.358 del 2020. Quest’anno supereranno i 25 mila. Ma, come detto, l’aspetto positivo nasconde un’altra faccia di segno ben diverso. «La crescita del conferimento degli animali a Co.Bre.Ca. è un’amara conferma di quanto temevo sarebbe successo - sottolinea il presidente -, per via degli enormi problemi legati al costo fuori controllo delle materie prime, alla pesante siccità e allo spaventoso rincaro dell’energia. Tutto questo ha portato alcune aziende a diminuire il proprio patrimonio zootecnico». Giacomelli evidenzia che la sola siccità ha creato grandissime difficoltà alle imprese agricole, con cali del 30-40%, in alcuni casi 50% della produzione di foraggio: a differenza dei cereali, che si trovano all’estero, pur a un prezzo ben superiore della media, l’alimento non può arrivare da oltre confine, salvo che in parte dalla Francia. Se il mais evidenzia perdite che vanno dal 30 al 70%, con casi di aziende che non hanno potuto nemmeno effettuare il secondo raccolto, ci sono realtà che hanno addirittura visto azzerarsi la produzione del fieno. Un problema che coinvolge pianura e montagna, area quest’ultima dove il problema è ancora più pesante. I dati emersi dall’andamento della Cooperativa Bresciana Bestiame e Carni confermano che le preoccupazioni, già rimarcate dal presidente Valter Giacomelli in precedenza, sono diventate una certezza, certificata dall’incremento di animali dismessi dalle stalle. Un fenomeno che rischia di condizionare negativamente situazioni particolari, «come nel caso di chi non ha un ricambio generazionale - precisa Giacomelli -: era già in difficoltà e ora, di fronte a questo scenario desolante, è tentato o decide di chiudere». Il pericolo è che in prospettiva diminuisca la produzione di latte - un segnale negativo in tal senso si è avuto a luglio con la contrazione a livello lombardo - di polli e suini, con avvisaglie che alcuni contratti di soccida non saranno rinnovati. «D’altro canto - riflette il presidente Giacomelli - non si può lavorare in perdita, almeno non per un periodo troppo lungo. Se viene meno l’autosufficienza produttiva siamo tutti a rischio. Rammarica il fatto che il valore del cibo, messo in evidenza durante la fase pandemica, stia di nuovo venendo meno nella percezione generale e si stia andando in direzione opposta».

La preoccupazione del presidente di Co.Bre.Ca. è legata anche alla consapevolezza che quando un’azienda agricola chiude non riapre più. «Non dimentichiamo - conclude - che l’agricoltura, con l’indotto, incide al 17% sul Pil e rappresenta una ricchezza per il territorio, in termini di cultura, tradizione, produzione e per quanto concerne la salvaguardia del territorio stesso: soprattutto in montagna e nelle vallate, dove la presenza dell’agricoltore rappresenta anche un presidio a tutela dell’ambiente e contro frane, smottamenti e altro favoriti dalle intemperanze meteorologiche legate al cambiamento climatico».  •. © RIPRODUZIONE RISERVATA