LA SFIDA

Tartufi, in Valcamonica cresce il progetto firmato Manganoni

di Adriano Baffelli
In località Videt a Capo di Ponte, al cospetto del Pizzo Badile, si trova la tartufaia di Giacomo Manganoni: il giovane imprenditore ha trasformato il suo sogno in un progetto di crescitaGiacomo Manganoni
In località Videt a Capo di Ponte, al cospetto del Pizzo Badile, si trova la tartufaia di Giacomo Manganoni: il giovane imprenditore ha trasformato il suo sogno in un progetto di crescitaGiacomo Manganoni
In località Videt a Capo di Ponte, al cospetto del Pizzo Badile, si trova la tartufaia di Giacomo Manganoni: il giovane imprenditore ha trasformato il suo sogno in un progetto di crescitaGiacomo Manganoni
In località Videt a Capo di Ponte, al cospetto del Pizzo Badile, si trova la tartufaia di Giacomo Manganoni: il giovane imprenditore ha trasformato il suo sogno in un progetto di crescitaGiacomo Manganoni

I listini del tartufo aggiornati a fine febbraio indicano da un minimo di cento euro al chilo per il «nero estivo» fino ai quasi tre-quattromila euro/kg di media per il «bianco pregiato». Il prezzo del tartufo subisce numerose oscillazioni durante la stagione di raccolta di ciascuna varietà e può raggiungere valori record per gli esemplari più grandi e pregiati. In questo settore trova spazio un’esperienza che si sviluppata lungo la valle dell’Oglio: consente di raccogliere tartufi in modalità alternativa alla classica forma seguendo il cane specializzato. All’ombra di una delle montagne considerate sacre dagli antichi Camuni, la dolomitica Concarena - l’altra era il Pizzo Badile -, prende sempre più forma un progetto agricolo innovativo che, nella sua apparente semplicità, racchiude passaggi complessi e soprattutto necessità di tempi lunghi. Tanto che dopo l’appassionata esposizione di Giacomo Manganoni, tartufaio legato alla Coldiretti Brescia, nasce spontaneo un certo parallelismo con le procedure e le attività propedeutiche all’ottenimento dalla vite dell’uva adeguata ad essere trasformata in un ottimo vino, a lunghi anni di distanza dall’idea e dall’inizio della messa a dimora delle barbatelle.

In questo caso il giovane imprenditore agricolo, il trentaseienne Manganoni, illustra il suo sogno, diventato prima un progetto e ora, dopo sette anni, un’iniziativa che cresce con costanza. In località «Videt» di Capo di Ponte, vicino alla Cantina Concarena, ha messo a dimora cento piante che costituiscono una pregiata tartufaia. «Ho scelto un terreno di proprietà della mia famiglia, incolto, come consigliato dagli esperti - racconta Giacomo Manganoni - un appezzamento che fu di mia nonna, Lucia Donina, conosciuta per la sua attività di staffetta partigiana. Dopo la conferma, grazie alle analisi fatte effettuare, che avesse le giuste caratteristiche, ad esempio il pH superiore a otto, fondamentali sono stati i suggerimenti e la consulenza di Virgilio Vezzola, presidente dell’Associazione tartufai bresciani e vera istituzione del settore». Una passione per il tartufo cresciuta accanto a quella per la cucina, nata grazie al fratello chef.

A condividerla e a offrire un supporto anche il papà, Eugenio, che partecipa con il cane Monet, di razza addestrata per la ricerca di tartufi. I tartufi prediligono i terreni calcarei, con un pH leggermente alcalino, caratteristiche ottimali individuate nella proprietà adagiata in zona «Videt». Il tartufo è un fungo simbionte, vale a dire che vive in simbiosi con l’albero ospite, in genere una latifoglia. A capo di Ponte sono state messe a dimora piante di carpino nero, leccio e roverella. «Si tratta di alberi micorizzati - precisa Manganoni - ovvero con radici sulle quali vive il fungo, premessa perché si crei la simbiosi tra il tartufo e la pianta ospite, operazione per niente semplice». Dalla piantumazione servono cinque, sei anni per ottenere i primi risultati. Particolare rilevanza rivestono le cure colturali: sono necessarie in particolare nei primi anni e consistono nell’intervento irriguo, specialmente quando si devono fronteggiare periodi estivi molto siccitosi. Fondamentale, sempre nei primi anni dell’impianto, effettuare delle leggere zappettature attorno alle piante per evitare la crescita di erbe ed erbacce. Altra operazione tanto necessaria quanto delicata è l’inoculazione, vale a dire il reinserimento a terra con vitamina di alcuni esemplari di tartufi. «Si tratta di un investimento - sottolinea Manganoni - anche se non effettuo delle vendite ora, con questa tecnica mi garantisco una produzione più abbondante in futuro. Ci vuole molta pazienza e bisogna saper guardare lontano».

Uno degli obiettivi del coltivatore è di ottenere, nell’arco di sette, dieci anni, che le radici delle piante si uniscano tra loro, rendendo più prolifica la tartufaia. Su questa superficie di tremila metri quadri coltiva tra gli altri il tartufo Nero pregiato (Tuber melanosporum) e il tartufo Bianchetto (Tuber Borchii Vittadini), mentre in un’altra tartufaia allestita nei pressi dell’abitazione ottiene lo Scorzone (Tuber aestivum). Delle cento piante piantate negli anni scorsi oggi solo 35 sono produttive e ogni anno altre cinque o sei entrano a regime. Il giovane agricoltore ha recuperato anche altri terreni, non idonei per ottenere i tartufi, sui quali ha piantato lavanda, aggiungendo alla suggestione delle Langhe in sedicesimo camuno anche quello di un’analoga replica locale dei magici scenari provenzali. Le vendite del tartufo per ora sono orientate a strutture ricettive e a privati. Fervono però molte iniziative: d’altro canto Giacomo Manganoni si occupa anche di marketing e considera necessaria una visione ampia, capace di promuovere i prodotti con il territorio camuno e la sua valenza turistica. Dalla collaborazione con varie realtà agricole e commerciali, tra le quali la Geia di Roberto Mazzola, è iniziata la commercializzazione di polenta con formaggio Silter e tartufo e di risotto con funghi e tartufo. Altre partnership che valorizzano il tartufo sono attive con un birrificio e con produttori locali di formaggio.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA