L’INTERVISTA

Franca Leosini e il caso di Carol: «Orrore figlio di un mondo social ma non sociale»

di Giuseppe Spatola
Franca Leosini, giornalista e autrice di Storie Maledette, commenta il massacro di Carol Maltesi e condanna l’isolamento sempre più diffuso
Franca Leosini è anima e autrice di Storie Maledette, programma di punta della Rai
Franca Leosini è anima e autrice di Storie Maledette, programma di punta della Rai
Franca Leosini è anima e autrice di Storie Maledette, programma di punta della Rai
Franca Leosini è anima e autrice di Storie Maledette, programma di punta della Rai

Franca Leosini se ne intende di storie maledette. Dal 1994 conduce il programma che si occupa di intervistare i protagonisti delle inchieste giudiziarie italiane che hanno fatto più scalpore. Davanti alla storia della giovane Carol e del suo aguzzino non si scompone. «In 98 puntate ho raccontato tanti orrori. Piuttosto ancora oggi mi chiedo le ragioni di tanta rabbia, soprattutto quando ad uccidere sono gli uomini considerati “buoni e gentili“».
Come è possibile che in una società iperconnessa nessuno abbia denunciato prima la scomparsa di Carol?

«Viviamo in una società sempre più social ma meno sociale. E più andiamo avanti più si aggrava questo distacco umano che ci porta ad avere relazioni fittizie, sui social e non personale. Ci si scollega dalla realtà».

Un caso che fa parte di un classico dei delitti domestici...

«Direi quasi un rituale drammatico dei delitti consumati sempre più spesso in Italia. Da lettrice di cronaca su questo caso mi ha colpito il tempo passato senza sapere nulla. La lentezza, se così si può dire, con cui si è ricostruita la verità. Forse una giovane vita come quella di Carol meritava più attenzione da parte di tutti».

Una ragazza che però aveva 30 mila seguaci sui suoi profili. Possibile fosse sola a tal punto che nessuno si è preoccupato?

«Qualche interrogativo forse è opportuno che sia posto. Non voglio essere scortese su chi ha condotto le indagini, ma magari con più attenzione non si sarebbe arrivati a tanto».

Forse fa ancora più rabbrividire il fatto che una persona può nascondere i resti di un cadavere in un freezer e per mesi non essere scoperta nè destare sospetti...

«Chi è riuscito solo a pensare ad un delitto del genere ha lati talmente oscuri che fa supporre una mente criminale».

Sembra la trama di un noir ma è drammatica realtà.

«A quanto si dice lui era un uomo qualunque, un impiegato di banca appassionato di fotografie. Una brava persona che forse non ha mai preso neppure una multa per divieto di sosta. Il medioman, che si nasconde nella società a poi esplodere in uno dei gesti più atroci».

Cosa l’ha colpita di più del delitto?

«La ferocia rituale dello smembramento e del rendere irriconoscibile la sua vittima. Questa freddezza con cui ha gestito ogni fase del delitto, dall’atto in sè all’occultamento che ha richiesto l’uso di attrezzi per sezionare i cadavere e nasconderlo in un freezer comprato proprio per nascondere i resti. E poi il viaggio, l’ultimo, verso il dirupo che avrebbe dovuto inghiottire in un attimo sia il passato che l’orribile presente in cui stava vivendo».

Se potesse porre una domanda a Fontana quale farebbe?

«Semplicemente gli chiederei perché. Che è la più complessa a cui rispondere. I perché affondano le radici nella psicologia dell’uomo. Troppo facile parlare di raptus o di borderline: chi uccide lo fa con un perché che arma la mano». 

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