L'INTERVISTA DELLA DOMENICA

La conduttrice Francesca Fialdini: «Dipendenze, disturbi alimentari: importante parlarne in televisione»

di Gian Paolo Laffranchi
La docuserie «Fame d’amore» racconta le dipendenze attraverso vicende personali raccolte nelle migliori cliniche italiane: «Una volta nemmeno si parlava di disagio psicologico né di sofferenza mentale, ora lo si fa anche al Festival di Sanremo»
La conduttrice Francesca Fialdini
La conduttrice Francesca Fialdini
La conduttrice Francesca Fialdini
La conduttrice Francesca Fialdini

Onda su onda: ieri storie di vita con «Le ragazze», oggi «Da noi a ruota libera» in variegata interessante compagnia (Barbara Bouchet, Giampiero Mughini, Alfa). Informazioni e talk, riflessioni con garbo, l’attualità con empatia: la cifra di Francesca Fialdini, su cui la Rai fa leva al punto d’affidarle fronti differenti con cambi di registro annessi. Del resto non di sola conduttrice si tratta: autrice televisiva, scrittrice capace di affrontare temi delicati come i disturbi alimentari. Il suo ultimo libro, «Nella tana del coniglio», ne analizza la dimensione medica con la collaborazione del dottor Leonardo Mendolicchio; la docuserie «Fame d’amore», di cui ha parlato il mese scorso a Brescia in un incontro sull’argomento al teatro parrocchiale di Casazza, racconta le dipendenze attraverso vicende personali raccolte nelle migliori cliniche italiane. E «anche rivedersi in televisione può essere terapeutico: chi ha un disturbo alimentare ha una forte dispercezione rispetto al corpo, non si vede così com’è, osservandosi da fuori può convincersi di non voler soffrire più così nella sua vita».

La sua vita professionale da tanto tempo l’ha resa un volto della tv nazionale: nel 2025 festeggerà i suoi vent’anni in Rai. Se riavvolge il nastro, che avventura è stata?
Il sogno di una ragazza che s’avvera. Una gavetta dorata, perché ho imparato sul campo già ad alti livelli. Il giornalismo ha tenuto sempre accesa la mia grande passione, che si è rivelata anche un mezzo per costruire un percorso professionale. Non ho mai ragionato per obiettivi, per gradini da raggiungere, mi sono lasciata anche trascinare da proposte e mi sono lanciata sempre: sono salita su tutti i treni che passavano. Molti giovani oggi fanno fatica, si fermano davanti a uno stipendio basso. Io accettavo tutto, volevo crescere.

I riscontri di «Fame d’amore» non hanno tradito le attese: il pubblico che ascolta, apprende e approfondisce negli anni è a sua volta cresciuto?
Io dico di sì. Questi temi ormai sono all’ordine del giorno. Ho dovuto affinare le mie conoscenze trattandoli, erano argomenti tabù, di certo tutt’altro che alla ribalta della cronaca, finché non ci sono esplosi fra mani. I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione oggi sono una piaga: in Italia sono circa 4 milioni a soffrirne, il 5 per cento della popolazione di cui il 70 per cento adolescenti, e rappresentano la seconda causa di morte tra i giovani. Una volta nemmeno si parlava di disagio psicologico né di sofferenza mentale, ora lo si fa anche al Festival di Sanremo.

La Sad come Mr. Rain e Sangiovanni, megafoni di un problema tanto delicato quanto diffuso.
Penso anche a «La noia» scritta da Angelina Mango com Madame, che mai aveva nascosto le sue difficoltà emotive: nella canzone che ha vinto il Festival ci sono frasi magnifiche, «una corona di spine sarà il dress-code per la mia festa» lancia un messaggio ribaltando il punto di vista come ho fatto io con il mio libro.

E come aveva fatto Ambra Angiolini con «InFame», affrontando il tema dei disturbi alimentari con un coraggio senza precedenti. Scrittrice, conduttrice, autrice: lei cosa si sente prima di tutto, oggi?
Io sono soprattutto una conduttrice. Mi impegno mettendoci la faccia, la voce, il corpo, ho un approccio naturalmente dinamico. La scrittura è un lavoro decisamente più riflessivo, di cesello mentale: conta la scelta delle parole, richiede più fatica, anche il solo star fermi è un esercizio di disciplina. Poi chiaramente la scrittura è alla base di tutto.

Storie di vita in cui riconoscersi, storie di ragazze in televisione: quanto conta monitorare costantemente il contesto storico in cui viviamo? Le donne iraniane in poco tempo hanno visto precipitare il loro Paese verso un Medioevo che non le rispetta nei loro diritti fondamentali: in Italia bisogna tenere la guardia alta?
Va tutelata sempre e comunque la libertà di espressione, che è alla base di tutto. Dobbiamo essere protagonisti della nostra vita, cittadini responsabili che lottano per i valori in cui credono. Se diventiamo dipendenti dal telefonino, perdiamo il senso critico, se siamo schiavi di TikTok ci vengono a mancare le emozioni perché è tutto troppo veloce, tutto uguale e così si smarrisce anche il concetto di giusto e sbagliato: diventiamo perfetti consumatori. Pensiamo alle nuove frontiere della comunicazione politica: ha tenuto un discorso un influencer nato dall’intelligenza artificiale, una persona che non esiste.

Finiremo per votare accozzaglie di algoritmi?
Si deve evitare una deriva che comporti la vendita di un principio alla stregua di un capo firmato. L’elettorato non dev’essere una branca credulona dei consumatori, la coscienza critica dei ragazzi va preservata e alimentata.

Chi ammira fra i colleghi?
Stimo da sempre Lilli Gruber: è la Carrà del giornalismo, merito suo un’autentica rivoluzione del costume. Apprezzo Sigfrido Ranucci e Selvaggia Lucarelli, Corrado Formigli e Giovanni Floris, così come su un altro versante Fabio Fazio e Carlo Conti. Ho scoperto tardi Michela Murgia e Chiara Valerio.

Da più parti s’invoca la pluralità di pensiero, opinione e informazione: quanto è importante tenere la barra dritta per chi fa informazione, da questo punto di vista?
È sempre stato importante. Certo, la Rai è sempre stata politicizzata, ma una volta consuetudine voleva che a tutte le parti politiche venisse data una visibilità, un diritto di rappresentazione: la stessa premier è cresciuta sotto riflettori, la conosciamo da quando era ancora una ragazzina. Negli ultimi tempi invece questa forma di rappresentazione politica è stata messa di lato. Penso che non sia giusto che un’azienda di Stato, pagata da tutti i cittadini, debba subire questo: di fatto non viene rappresentato chi non si riconosce in un pensiero politico di parte. Da rivedere secondo me sono le leggi, perché questo problema non è cominciato con il governo attuale, ma a partire da Matteo Renzi.

Cosa dev’essere la Rai?
La casa di tutti gli italiani. Tutti si devono poter sentire a casa, secondo le forme di una democrazia rappresentativa. E chi fa informazione deve mantenersi fedele a un ideale, saper fare domande, tener conto di tutti i punti di vista.

Ha tagliato tanti traguardi nel corso della sua carriera. Un sogno da realizzare sopra gli altri c’è?
Sì che c’è, anche se è qualcosa che non va più di moda: si chiama talk show. Per molti il salotto televisivo è un genere finito, a volte oltre alle annotazioni critiche di Aldo Grasso lo dicono anche i risultati in termini di audience. Io però vorrei gestire un talk non solo dedicato ai politici: mi piacerebbe parlare di salute mentale e sanità pubblica, problemi economici e della scuola, di giovani e di linguaggio, dei diritti delle donne. Vorrei cimentarmi in più registri linguistici, dando voce alla gente comune. E vorrei farlo con la giusta dose d’ironia.

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