L’INTERVISTA

Pierangelo Ferrara

«Califano, Amanda Lear... Che vita meravigliosa la radio!»
Pierangelo Ferrara: nato a Lonato il 14 luglio 1954, ha iniziato ad occuparsi di radio negli anni Settanta
Pierangelo Ferrara: nato a Lonato il 14 luglio 1954, ha iniziato ad occuparsi di radio negli anni Settanta
Pierangelo Ferrara: nato a Lonato il 14 luglio 1954, ha iniziato ad occuparsi di radio negli anni Settanta
Pierangelo Ferrara: nato a Lonato il 14 luglio 1954, ha iniziato ad occuparsi di radio negli anni Settanta

C'è un'altra via. Fra i tapponi di montagna dei carrieristi a tutti i costi e le discese ardite senza risalite degli accidiosi sempre in vacanza c'è la strada giusta di chi va lontano anche perché viaggia leggero: ha coltivato le sue ambizioni con filosofia, «dando il giusto peso alle cose». Si può fare e lo dimostra il sorriso di Pierangelo Ferrara. Natali da baby boomer, entusiasmo da forever young, incarna l'equilibrio fra lavoro e qualità della vita. Il mix perfetto: proprio il caso di dirlo, per chi ha fatto la storia della radio a Brescia e dintorni. «Ascoltare un po' di buona musica, una passeggiata sul lago, leggere il giornale prendendo il sole: non chiedo altro - dice e convince -. Sono legatissimo al Garda: trasferirmi in città fu uno shock per me. Il ritmo era così diverso che mi sembrava un altro mondo. Poi mi sono abituato».

Dov'è cresciuto?
Sono nato a Lonato il 14 luglio 1954. Ho vissuto sul lago fino ai vent'anni.

Dal lago di Garda alla città, dalla gioia di vivere ad agende piene di appuntamenti: due lati del suo carattere?
Sì, anche se la frenesia non fa per me. Siamo portati a fare le cose in fretta: io amo fare, ma senza dimenticarmi di vivere.

Quando ha indossato le prime cuffie?
Mio padre, Marziale Ferrara, gestiva il Max Club a Toscolano, una delle prime discoteche sul lago dopo l'era delle orchestre. Era tutto nuovo, elettrizzante per noi giovanissimi. Un mio caro amico, l'avvocato Flavio Moccia, faceva il dj: fu il primo in consolle alla Torre. Era il 1970/71. Avevamo il mito di Gigi Rizzi, il playboy di Brigitte Bardot; il nostro sogno era aprire un locale in spiaggia a Saint-Tropez.

Invece?
Ero in un locale simile allo Snoopy di Modena, il più bello d'Italia a detta di Vasco Rossi. Il Max era intrigante e il Garda era già il regno delle discoteche: a Desenzano c'era il Biblò, a Salò l'Apollo 3000, a Gardone Riviera La Storia. E poi il Rimbalzello, lo splendido Euronight, naturalmente La Torre e il Gatto Giallo. Io avevo 16 anni e studiavo la situazione. I più furbi si spostavano da Salò a Limone per accogliere le comitive di ragazze svedesi e danesi in pullman. Ricordo che a Salò c'era una figura come «il baffo», Edoardo Giacone da Varazze. Chiuso nell'80. Ti insegnava a bere whisky.

C'era sempre e solo la musica, con tutto il mondo intorno, al suo orizzonte?
Ho giocato a lungo a calcio nel Desenzano. Il cugino di mio papà era Renato Cavalleri, il papà del famoso procuratore Tiberio. Quando avevo 12-13 anni ero già alto come adesso e mi volevano stopper. Logico, per come giocavo. Ma non potevo reggere la doppia vita. Ho scelto i dischi.

Come ha fatto con la scuola?
Ne ho girate tante, direi tutte quelle private possibili grazie all'impegno di mia mamma Alba. Le medie a Desenzano, lo scientifico Bagatta, poi a Brescia il Minerva dove ho conosciuto Attilio Tantini, giornalista e altro grande amico. Infine mi sono diplomato geometra a Salò. Ma la scuola non era esattamente il primo dei miei pensieri: a 15 anni ero fidanzato con una ragazza di 24... E il mio passatempo erano le radiocronache, imitavo i maestri di «Tutto il calcio». Mi ero iscritto a Scienze politiche a Milano, quando a Toscolano nacque Radio Tele Garda. Giancarlo Ginepro e Alcide Morani mi chiamarono: «Vieni qui a fare il deejay».

Poteva rifiutare?
Certo che no. Che vita meravigliosa la radio! Registravo il programma con Gino Porcelli, cantante che lavorava anche da dj all'Oasi di Lazise.

Alto Gradimento era la bussola?
Sicuramente. Prendevamo il Quaderno del Sale, i pezzi scritti da Marcello Marchesi e altri grandi autori, e così nascevano i nostri sketch. La nostra trasmissione s'intitolava «Attenti a quei due», come il telefilm. Era il '75/76. Dopo qualche mese vidi in bacheca l'avviso di Radio Punto Nord che cercava giornalisti. Mi presentai e incontrai Giampiero Merlo, maestro e critico musicale che aveva suonato con Fred Bongusto e si esibiva sul lungolago di Gardone. «Non devi fare il giornalista, ma il dj», mi disse. Così mi sono ritrovato in onda tre ore al giorno. C'erano Rolando Giambelli, Emilio Carbone, il direttore era Federico l'Olandese Volante. Il nostro fu il primo studio mobile nel Bresciano, lo sperimentammo alla Città Mercato di Concesio. Fra i soci c'era Gino Corioni. Dopo il servizio militare sono tornato a Brescia e un giorno in via Gramsci ho incontrato Franco Zanetti, che dirigeva Radio Brescia. E mi ha preso. Poi Franco è andato a lavorare come direttore artistico alla Cgd e io sono diventato direttore. Era il 1980. Il proprietario era Giacomo Bonetti, il fondatore della Prefabbricati Bonetti.

La strada era tracciata.
Ma nel 1982 sono diventato papà di Federico e a quel punto mi sembrava giusto cercarmi un mestiere da persona seria: consulente finanziario. Mi occupavo di fondi comuni d'investimento che in Italia praticamente non esistevano: come provare a smerciare ghiaccio al polo Nord. Ho imparato a vendere. La radio però rimaneva la mia vita: anche quando facevo il doppio lavoro ho sempre proseguito al mattino.

Tante canzoni presentate, tante interviste fatte. I primi flash che le tornano in mente?
La mia intervista ad Amanda Lear, alle Cupole. Io e il maestro Merlo ci presentiamo in camerino con un Akai mai usato prima per registrare. L'intervista è bellissima, controlliamo e... non è uscito nulla. Ci scusiamo, chiediamo di rifare, Amanda è spazientita ma accetta. Altra intervista bellissima. Con la coda dell'occhio mi accorgo che di nuovo abbiamo registrato niente. «Com'è venuta?», ci chiede. «Benissimo», le rispondo io. Non volevo ci sbranasse! L'artista che mi ha colpito di più però è Franco Califano. L'impatto, l'empatia.

Sul successo di quale canzone scommetteva e ha avuto ragione?
Il primo caso che mi viene in mente è al contrario: non avrei mai detto che «Ti amo» avrebbe sbancato. Aveva ragione Umberto Tozzi. Invece in uno dei miei viaggi per comprare dischi a Parigi scoprii Celine Dion: era sconosciuta, pensai subito che avrebbe sfondato.

Così è stato. Mezzo secolo di radio: se si guarda indietro?
Ho comprato Radio Brescia nel 1986 e l'ho venduta nel '98. A Radio Bresciasette e Teletutto il mio ruolo era più manageriale. Nel 2006 sono passato al gruppo Number One come amministratore delegato della concessionaria di pubblicità. Sono diventato presidente nel 2013 e lo sono stato fino al 2019. Ora sono consigliere.

Oggi sarebbe possibile iniziare un cammino come il suo?
È più difficile, la musica è ovunque, ma la radio rimane informazione, empatia, compagnia. Vince la comunicazione calda. Un modello è il bresciano Fabio Volo: non ha una bella voce, la dizione è discutibile, non è un musicista. Ma sa comunicare con semplicità. Ti parla di cose che capisci al volo.

Appunto.
Nomen omen, sì! Il figlio della mia prima moglie si chiama Fabio e sua nonna, la mia ex suocera, si chiamava Volo e gestiva il buffet in stazione. Sul campanello di casa c'era scritto anche Volo e le ragazzine suonavano pensando di trovare «quello della tv»... Quando lo vedevo su Match Music era quello che ho intervistato su Radio Brescia e che è oggi: uguale a se stesso.

Da Mixo e Luca De Gennaro a Sergio Mancinelli, da Linus a Oldani e Big G: le voci più popolari e calde della radio oggi sono della sua generazione. Perché?
Perché abbiamo avuto le opportunità: c'erano le radio libere, il mercato aperto, un clima carico di ottimismo e di energia. La concorrenza era poca, se avevi passione e forza di volontà potevi crescere e importi col tempo.

È stato difficile conciliare la famiglia?
Dopo il primo matrimonio con Marcella, che purtroppo non c'è più, ho sposato Marzia. Fabio ha un'agenzia viaggi, Federico vive a Venezia dove prepara cicchetti all'Osteria dei Pugni.

La radio in casa dunque è affar suo. Se lei fosse una canzone, quale sarebbe?
Non dimentico quant'era splendida Nicolette Larsson, che intervistai al Principe di Savoia. Scese con gli shorts... Una dea. La sua «Lotta love», scritta da Neil Young: ecco la canzone.

Sogna ancora di andare a Saint Tropez?
Ci sono andato in vacanza. I miei sogni oggi non sono legati alla professione: vorrei godermi un panorama, incontrare persone, ascoltare musica, mangiare bene, un buon vino. I piaceri della vita. Rivoluzionario, no? . © RIPRODUZIONE RISERVATA

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